Uno studio di respiro internazionale, promosso dalla Insh, ha diffuso i risultati emersi dalla survey sulla gestione della pandemia di Covid-19. La malattia è “malvagia”, ma sono tante le criticità scoperte nei vari Paesi – soprattutto in quelli occidentali.
Come viene segnalato dall’ANSA, l’Italian Network for Safety in Healthcare (Insh), in collaborazione con International Society for Quality in Health Care, Macquarie University e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha condotto un’interessante indagine in merito alla gravità della malattia Covid-19 e al come la gestione della pandemia da parte dei governi mondiali abbia influito sugli effetti più drammatici della stessa.
In una sintesi dei risultati ottenuti dalla ricerca, emerge che l’infezione da coronavirus provochi una malattia “malvagia, difficile da contenere, controllare e gestire“, ma per l’appunto sarebbero anche “numerose” le criticità rilevate nell’affrontarla a partire dall’inizio dello scoppio della pandemia. “Nell’intervallo fra le due ondate tutti i Paesi avrebbero dovuto lavorare molto per anticipare e prevenire le criticità note”, si legge del documento.
Diverse criticità nella gestione della pandemia
Lo studio, presentato tra l’altro a fine ottobre in un convegno patrocinato da La Sapienza, ha impegnato un team di ricercatori italiani, australiani e inglesi, ed è al momento in corso di pubblicazione sull’International Journal for Quality in Health Care (rivista dell’Oxford Academy). Il lavoro si è focalizzato sull’indagine condotta nei mesi di maggio e luglio 2020, e che ha preso a riferimento un campione di oltre 1000 esperti di qualità e sicurezza delle cure appartenenti a 96 Paesi nel mondo. In particolare, si è potuto osservare il modo in cui la gestione della pandemia è stata gestita nelle 6 regioni principali dell’Oms – e cioè America, Africa, Europa, Medio-Oriente, Sud-Est Asiatico e Pacifico Occidentale.
Secondo quanto emerso dallo studio, alla fine del mese di settembre a registrare “la percentuale cumulata di morti più alta erano il Continente Americano (55%) seguito da quello Europeo (23%)”. D’altro canto, “le regioni che hanno avuto la reazione più rapida e forse migliore sul controllo dell’epidemia sono state quella Medio-Orientale, il Sud-Est Asiatico e il Pacifico Occidentale. Forse l’esperienza avuta con le epidemie di Mers e Sars nelle prime due regioni ha reso queste Nazioni più resilienti e più organizzate”, spiegano gli esperti nel documento.
La ricerca ha inoltre tenuto conto anche della conseguente salute psicologica e dello stress occupazionale a cui sono stati esposti gli operatori sanitari impegnati in prima linea in questa emergenza sanitaria. Registrata, in questo frangente, scarsa attenzione da parte dei governi, con una “impreparazione alla gestione della pandemia” dovuta in particolare a due fattori: “scarsa formazione soprattutto mediante simulazione e l’improvvisazione delle task force; scarsa disponibilità di piani pandemici aggiornati, presenti solo per il 50% dei rispondenti”.
In particolare, “l’80% dei Paesi disponeva di un piano pandemico“, tuttavia, “solo per il 50% dei rispondenti era stato aggiornato”. E ancora, solo il 30% degli intervistati ha dichiarato come attiva nel proprio Paese la formazione degli operatori sanitari “mediante simulazione sulla gestione di una pandemia negli ultimi tre anni”. Soltanto il 50% degli operatori sanitari, poi, “riferisce di non aver avuto problemi di disponibilità di dpi” mentre è emersa la grave carenza nello “scarso supporto psicologico fornito” in questa situazione.
Per quanto riguarda “la disponibilità di linee guida chiare sull’uso dei Dpi”, invece, si parla del 90% dei Paesi, mentre “la riduzione delle visite in ospedale” è stata bloccata “per l’88% dei rispondenti in tutte le regioni Oms”.
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“Una sconfitta delle cure primarie a livello mondiale”
Altra criticità è stata riscontrata nella gestione della somministrazione dei tamponi e dei test per il Covid-19. Sempre secondo quanto è emerso dall’indagine, il 72% degli intervistati poteva disporre dell’analisi in uno specifico sito senza andare in ospedale”, e in questo senso “le regioni più efficienti ancora Sud-Est Asiatico e Pacifico Occidentale” – dove i casi di ritardo nella comunicazione degli esiti riferiti è stata registrata “solo dal 30% (contro il 40-50% delle altre regioni)”.
Si parla invece di “una vera sconfitta delle cure primarie a livello mondiale che dovrà essere oggetto di una profonda riflessione”: come riportato dal documento, infatti, la gestione dei pazienti sul territorio “è risultata presente soprattutto nel Sud-Est Asiatico e nel Pacifico Occidentale”: si parla di un 74-75%, contro invece il 57% delle altre regioni. E la situazione non cambia nemmeno per la presa in carico dei pazienti dimessi, “riferita solo dal 60% dei rispondenti” al sondaggio.
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Meno del 70% degli intervistati, inoltre, ha dichiarato che i pazienti Covid “sono stati ricoverati in ospedali o altre strutture dedicate”, mentre il 60% dei rispondenti all’indagine ha riferito “che le Rsa sono state isolate”. Numeri insufficienti, però, dato che la percentuale delle risposte avrebbe “dovuto superare il 90%”: “la mancata applicazione di alcune misure essenziali, anche in piccola percentuale”, viene infatti segnalato nello studio, “espone la popolazione a grave rischio di diffusione del contagio. Ad esempio, anche se solo il 18% dei rispondenti ha affermato che la protezione degli operatori non è stata adeguata, le conseguenze sono state assai gravi”. Idealisticamente parlando, tale misura doveva “essere garantita nel 100% delle organizzazioni“.