Uno studio condotto dall’Irccs Humanitas e dall’asst Papa Giovanni XXIII ha rivelato il motivo per cui alcune persone che contraggono il Covid-19 si ammalano gravemente e altre, invece, non sviluppano sintomi o lo fanno in modo lieve.
Fin dall’inizio della pandemia di Covid-19 un dubbio affligge la popolazione. Perché alcune persone manifestano i sintomi del virus in modo grave ed altre no? Avere la risposta potrebbe consentire di proteggere le persone più a rischio, che finora vengono considerate quelle più anziani e deboli. Non mancano, in base alla casistica quotidiana, tuttavia, i giovani adulti, senza alcuna patologia pregressa, in cui la malattia ha causato gravi problemi. L’enigma potrebbe essere stato sciolto, a quasi un anno dalla diffusione del virus, da un gruppo di esperti.
Uno studio sul tema, basato su due casistiche indipendenti, è stato condotto rispettivamente da una task force dell’Irccs Humanitas, guidata dal professor Alberto Mantovani insieme agli operatori che in questi mesi hanno lottato in prima linea contro il Covid-19, e dal gruppo di medici e ricercatori dell’asst Papa Giovanni XXIII, guidato dal professor Alessandro Rambaldi. Esso, grazie ad analisi effettuate su un totale di 150 persone, è arrivato ad un risultato mai visto prima. È stato, infatti, identificato un indicatore di gravità della malattia nei pazienti affetti dal virus: la molecola Ptx3.
I risultati dello studio, denominato “Macrophage expression and prognostic significance of the long pentraxin PTX3 in Covid-19“, sono stati pubblicati su Nature Immunology. Essi rivelano le caratteristiche della molecola Ptx3, che ha un ruolo fondamentale nella sintomatologia del virus.
Lo spiega il professor Alberto Mantovani, Direttore Scientifico di Humanitas e professore emerito. “L’analisi ha portato alla luce il ruolo di un gene scoperto dal mio gruppo anni fa, la Ptx3. Si tratta di una molecola coinvolta nell’immunità e nell’infiammazione. Nei pazienti malati di Covid-19, questa molecola è presente a livelli alti nel sangue circolante, nei polmoni, nelle cellule della prima linea di difesa (i macrofagi) e nelle cellule che rivestono la superficie interna dei vasi sanguigni (l’endotelio vascolare). Informazioni importanti dal momento che i pazienti malati di Covid-19 presentano una fortissima infiammazione (la sindrome di attivazione macrofagica) che porta a trombosi del microcircolo polmonare a livello delle cellule endoteliali. A seguire, abbiamo verificato che la Ptx3 potesse essere un marcatore di gravità, grazie a reagenti e a un test messo a punto dai ricercatori di Humanitas“, ha detto.
I dati raccolti da Humanitas e dall’asst Papa Giovanni XXIII sono stati in più intrecciati, grazie all’Intelligenza Artificiale, con quelli di pazienti residenti negli Usa e in Israele. Ciò ha dato una ulteriore conferma. “Questi dati confermano la centralità del danno endoteliale nella patogenesi delle manifestazioni più gravi osservate nei pazienti Covid. I livelli circolanti di Ptx3, misurati nel sangue, serviranno a guidare la valutazione della risposta ai trattamenti di questi pazienti. La validazione dei risultati ottenuta in due coorti indipendenti di pazienti sottolinea la robustezza e la riproducibilità di questa osservazione e l’importanza di poter utilizzare materiale biologico opportunamente conservato al momento del ricovero di questi pazienti“. Lo afferma il professor Alessandro Rambaldi, direttore dell’Unità di Ematologia e del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
L’obiettivo, adesso, è fare sì che la ricerca non resti soltanto teorica. “Lo studio, che necessita di ulteriori verifiche e conferme, potrebbe costituire – sottolinea il prof. Mantovani – uno strumento importante per guidare i medici nella definizione delle terapie per ogni paziente. In Humanitas stiamo mettendo il test a servizio di medici impegnati con i pazienti Covid grazie alla collaborazione del Laboratorio di Analisi Cliniche dell’ospedale guidato dalla dott.ssa Maria Teresa Sandri. Ci auguriamo che possa aiutare i clinici a valutare tempestivamente la gravità della malattia e curare sempre meglio i malati“.
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“Lo studio dimostra che l’avanzamento delle conoscenze si fa grazie alla raccolta di campioni biologici e dati personali e sanitari della popolazione, indispensabili per una efficace ricerca su Covid-19, secondo procedure operative standard internazionali consolidate“, ha concluso il prof. Rimbaldi.
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