Una storia di decisioni sanitarie quantomeno discutibili, di burocrazia, di poca chiarezza e di poca empatia.
E’ la fine di luglio quando Rita Capri, una donna fino a quel momento sana e piena di vitalità, si sente male e sviene. Effettua una tac che la tranquillizza: nulla da segnalare. L’episodio però si ripete dopo poco tempo, ed inizia un vero calvario: Tac purtroppo positiva, tumore benigno. Dall’Aurelia Hospital (la vicenda si svolge a Roma) la donna viene portata dai familiari al Policlinico Gemelli, dove la diagnosi, dopo una nova Tac, è ancora peggiore: glioblastoma di quarto grado.
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Un tumore cerebrale maligno. Che in un primo momento pare operabile, ma ad una seconda verifica non lo è più. Ma Nel Policlinico di Tor Vergata c’è un chirurgo che opera questi tumori: ed allora Rita viene portata lì, e operata. L’intervento riesce, ci sono le cure da fare. La donna viene dimessa, ma non sta bene, torna a Tor Vergata, per quasi tre settimane non viene consentito alla famiglia, alla figlia Valentina ed al figlio Gianluca, di andare a trovarla, probabilmente per evitare contagi da coronavirus. Viene poi recuperata, e portata ad un hospice. Rita sta meglio, ma anche lì i protocolli Covid rendono impossibile alla famiglia di interagire con la donna, che però è sempre più spenta, meno reattiva. Una storia difficile, raccontata nella video intervista dalla figlia di Rita, Valentina.
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