L’emergenza Covid-19 ha costretto milioni di dipendenti a operare in smart working. Ben 45 mila di loro, che operano al Nord ma sono originari del Sud, hanno deciso di tornare in patria per lavorare da remoto, magari vicino alle loro famiglie.
Lo smart working ha fatto una grande regalo a molte persone del Sud che sono state costrette a espatriare per trovare lavoro. Ben 45 mila dipendenti, attualmente impegnati da remoto a causa dell’emergenza Covid-19, hanno scelto di tornare in patria per trascorrere questo periodo vicino alle rispettive famiglie. Lo rivela uno studio condotto da Datamining per la Svimez su 150 imprese con oltre 250 addetti al settore manifatturiero e dei servizi. La ricerca mostra soltanto una piccola parte della realtà relativa al cosiddetto south working. Molti altri settori, infatti, operano adesso da remoto e altrettanti lavoratori si sono momentaneamente trasferiti.
Per lo più si tratta di giovani neo-laureati approdati al Nord Italia per cercare fortuna. Essi in gran parte hanno trovato lavoro nelle grandi aziende, ma l’emergenza Covid-19 ha messo il freno alle loro attività sul campo. Per questa ragione hanno deciso di tornare a casa dalle loro famiglie. Una scelta piuttosto conveniente, anche in virtù di spese ingenti (soprattutto in momenti di crisi come quello attuale), tra cui l’eventuale affitto. Non è una scoperta, inoltre, il fatto che la vita al Sud sia meno costosa.
Il numero totale di lavoratori originari del Sud che operano nel Nord Italia è pari a circa due milioni. “Se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti), molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100 mila lavoratori meridionali“, si legge nei risultati della ricerca. Per le aziende che hanno permesso alla totalità dei loro dipendenti – o almeno all’80% – di operare in smart working, si attesta dunque che i south worker siano il 3%.
Per gli esperti il ritorno al Sud dei lavoratori può essere un’occasione per riportare il capitale in una zona meno ricca. In Meridione, infatti, non mancano soltanto le offerte di lavoro. Approfittando di questo ritorno momentaneo, dunque, l’obiettivo potrebbe essere quello di incentivare la riattivazione di quei processi di accumulazione di risorse umane da troppi anni bloccati. Per lo più ciò potrebbe avvenire proprio facendo leva sui giovani laureati, tra i 25 e i 34 anni, occupati al Nord.
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L’Istat, unendo i dati relativi alla forza lavoro a disposizione e quelli relativi all’indagine sull’inserimento professionale dei laureati italiani, stima che i giovani meridionali potenzialmente interessati a lavorare nelle proprie Regioni d’origine o, in generale, al Sud, sono circa 60 milioni. La gran parte di queste persone sono state costrette ad emigrare poiché nel loro territorio non trovavano occupazione. L’83,3% degli intervistati, che hanno un contratto al Nord, dunque, se ne avessero la possibilità tornerebbero nel Meridione definitivamente, continuando a lavorare in smart working.
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