Il deputato repubblicano dell’Ohio, Jim Jordan, intervistato a Fox News, lancia il suo appello agli americani: “Non fidatevi dei risultati. Il Presidente ha avuto 9 milioni di voti in più di quattro anni fa ma dicono che ha perso”. Il presidente uscente Donald Trump ritwitta il video.
Si fa sempre più complessa la situazione negli Stati Uniti, con un nuovo presidente – Joe Biden – e il presidente uscente – Donald Trump – che tra ricorsi e tweet sembra restio a concedere il passaggio di presidenza. Ad alimentare le posizioni trampiane, che puntano il dito contro presunti brogli (non ancora dimostrati), sono anche le dichiarazioni dei suoi sostenitori. Ultimo tra tutti, il deputato repubblicano dell’Ohio Jim Jordan, che intervistato da Fox News invita gli americani a non fidarsi dei risultati delle elezioni. Il video dell’intervista sarebbe stato ritwittato anche da Donald Trump, in modo da dare una forte risonanza mediatica al deputato Jordan, che afferma: “Le stesse persone che dicono che ti devi fidare dei risultati di queste elezioni sono gli stessi che dicevano di fidarsi degli anonimi ‘whistleblower’ consultati durante il procedimento di impeachment (contro Trump), le ‘gole profonde’ anonime e di parte contro il presidente”. Poi ancora: “Trump ha ottenuto 9 milioni di voti in più di quattro anni fa e ora ci dicono che ha perso, malgrado abbia avuto più seggi al Congresso. 72 milioni di americani sanno che c’è qualcosa che non va”.
Innanzitutto le elezioni Usa in America non si vincono in base al numero di voti, ma in base al numero di grandi elettori conquistati da un candidato. In tutti gli Stati il vantaggio di Biden si fa sempre più evidente. Anche nel caso in cui alcune delle accuse di Trump fossero fondate, la situazione non cambierebbe di molto. Questo al netto del fatto che non esistono al momento prove né sospetti fondati per credere a frodi o errori nel conteggio. Stando a quanto riportato dal New York Times, le testimonianze di funzionari e responsabili delle elezioni in tutti i 50 stati non lascerebbero pensare a grosse irregolarità. Ci sono piuttosto pochi e isolati malfunzionamenti – puntualmente segnalati da Trump sui social – che tuttavia si ripresentano storicamente in un tipo di elezione che coinvolge 150 milioni di schede.
Trump procede allora per singoli ricorsi, alcuni accolti (come nel caso della Georgia, che ha deciso di ricontare manualmente le schede), alcuni respinti. Ma Joe Biden gode ancora di 279 grandi elettori. Si tratta di 9 elettori in più rispetto al minimo consentito – 270 – per ottenere la presidenza. Intanto in Nevada Biden è adesso avanti di oltre 36mila voti, in Wisconsin di oltre 20mila, in Georgia di 14mila, in Arizona di quasi 13mila. Numeri non eccessivi, anzi, ma che non porterebbero a grossi cambiamenti in caso di riconteggio. Numeri che, in sostanza, non porterebbero all’attribuzione di un numero di grandi elettori in grado di ribaltare la situazione. Al netto di tutto questo la vera superiorità numerica dipenderebbe dalla riconferma della vittoria di Biden in Michigan (16 grandi elettori), Wisconsin (10 grandi elettori) e Pennsylvania (20 grandi elettori).
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In Pennsylvania una decisione della Corte Suprema avrebbe stabilito: i voti arrivati per posta a seguito dell’Election Day saranno tenuti da parte, gestiti in maniera separata rispetto agli altri. Il motivo sarebbe di tipo organizzativo: gestire in maniera autonoma schede che, al termine del procedimento legale, potrebbero essere annullate. Ad ogni modo si parlerebbe di un numero di voti irrisorio, non in grado di ribaltare la situazione: sarebbero circa 10mila le schede in questione, mentre si attesta ormai sui 45mila voti il vantaggio di Biden. In Wisconsin (10 grandi elettori), il comitato elettorale di Trump non sembra voler chiedere il riconteggio delle schede, stando a quanto riportato da Washington Post. Infine il Michigan, nel quale Biden ha vinto per 150mila voti. Anche lì, numerose sono le cause presentate dai repubblicani e respinte, alcune anche perché compliate in maniera scorretta.
L’unica possibilità di spuntarla riguarderebbero uno scenario: qualche ricorso presentato ai tribunali locali dovrebbe assumere rilevanza nazionale, finendo alla Corte Suprema degli Stati Uniti. A quel punto per Trump le cose dovrebbero migliorare, anche in virtù del recente insediamento della giudice Amy Coney Barrett, nominata dal presidente (uscente?) in persona. Secondo il costituzionalista John Yoo, docente di diritto alla Berkeley School of Law, visiting fellow dell’American Enterprise Institute e visiting scholar della Hoover Institution della Stanford University, la partita potrebbe giocarsi proprio in Pennsylvania. Ma non per una questione numerica. Come già osservato, non ci sono i presupposti numerici per questo. Nel caso in cui Trump ottenesse l’annullamento dei voti arrivati per posta dopo l’Election Day, la questione avrebbe piuttosto risvolti legali. In realtà il caso della Pennysilvania è già arrivato alla Corte Suprema.
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E’ proprio lì che il giudice conservatore Samuel Alito avrebbe ordinato di separare le schede arrivate dopo il 3 novembre dalle altre. “La Corte Suprema potrebbe bocciare l’estensione della scadenza al 6 novembre decisa dalla Pennsylvania – avverte Yoo – ed ordinare allo Stato di rifiutare ogni scheda arrivata dopo l’Election Day. E questa non è una battaglia costituzionale fantasiosa”. A quel punto cosa accadrebbe negli altri stati?
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