Continuano ad emergere malumori per il nuovo Dpcm. L’ultima contraddizione riguarda i centri commerciali e le grandi strutture di vendita. Ad esporre il proprio disappunto è il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, che scrive: “Noi sindaci abbiamo inviato una richiesta al Governo affinché disponga la chiusura delle grandi strutture di vendita così come succede alle gallerie commerciali”.
Primo weekend senza centri commerciali: anche loro sono caduti nella morsa del nuovo Dpcm, che ne prevede la chiusura durante il fine settimana. Tuttavia, anche su questo punto la nuova normativa fa discutere. A sollevare un’incongruenza è il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, che su Facebook commenta: “Secondo l’interpretazione
dell’ultimo Dpcm da parte del Governo, sembrerebbe che domani e domenica restino chiuse solo le gallerie di negozi nei centri commerciali, mentre le grandi strutture di vendita resteranno aperte. Noi sindaci abbiamo inviato una richiesta al Governo affinché disponga la chiusura delle grandi strutture di vendita così come succede alle gallerie commerciali”.
Cosa prevede il Dpcm
Il nuovo Dpcm infatti si riferisce alla chiusura di tutti “gli esercizi commerciali presenti all’interno dei centri commerciali e dei mercati” durante i weekend. La nuova normativa è entrata in vigore nella giornata di ieri, 6 novembre, e oggi prevede la chiusura dei centri commerciali, così come in tutti i fine settimana a seguire fino al decorrere del decreto. Resteranno aperti punti vendita di generi alimentari, tabaccherie, edicole, farmacie e parafarmacie al loro interno. All’interno delle infografiche pubblicate dal governo manca un riferimento alla chiusura dei centri commerciali nelle zone rosse: questo perché in quelle zone sono previste misure ancor più stringenti, che prevedono la serrata su tutti i negozi ad eccezione di supermercati, beni alimentari e di necessità.
L’attacco di Decaro
Cosa accade, invece, alle grandi strutture di vendita? Mistero. Il Dpcm non ne fa menzione. Così il primo cittadino di Bari non lascia correre. Antonio Decaro aveva disposto la chiusura dei centri commerciali nei giorni festivi già prima dell’ultimo Dpcm e sul suo profilo Facebook aveva pubblicato una foto dell’Ikea di Bari: tante le persone riversate nella grande struttura di vendita durante il weekend. Ora torna sulla questione: “Continuerò a portare avanti questa richiesta, perché credo sia una questione di rispetto nei confronti dei sacrifici che tanti cittadini, tanti imprenditori, tanti lavoratori, in questo momento drammatico, stanno facendo. So bene che questo non è il momento delle polemiche, ma non sono d’accordo con questa scelta”. Non una questione personale, ribadisce Decaro, ma una questione di coerenza: “Non ho nulla contro queste imprese o contro chi ci lavora, ma trovo ingiusto che mentre da una parte si richiedono sacrifici a tanti piccoli imprenditori, dall’altra si permetta a queste strutture di restare aperte, nonostante siano chiaramente luoghi nei quali le persone si concentrano e si affollano, soprattutto nei fine settimana”.
Il paradosso Ikea
Proprio per questo, proprio a Bari, nei giorni precedenti i lavoratori del colosso svedese hanno indetto uno sciopero per richiedere maggiori tutele. Insomma, dove non arriva lo stato arrivano le rivendicazioni dei lavoratori. Così in una nota la Cgil Bari ha spiegato il perché della manifestazione di dissenso, a fronte della decisione dell’azienda addirittura di aumentare il numero di ingressi all’interno del negozio. A commentare è la segretaria generale Gigia Bucci: “La Cgil che in un momento come questo non poteva rimanere indifferente dinanzi a immagini di code e assembramenti all’ingresso di Ikea sabato scorso. Prendiamo atto che il sindaco di Bari a costo di essere impopolare si è fatto portavoce di tutti i sindaci chiedendo ed ottenendo la chiusura dei centri commerciali a partire dal prossimo fine settimana”. Lo sciopero proclamato si è posto dunque a difesa di lavoratori e cittadini, non tutelati dagli assembramenti che si erano condensati all’interno della struttura: “Dobbiamo salvaguardare il lavoro ma ora più che mai va tutelata la salute di lavoratori e cittadini, anche di quelli che privi di buon senso hanno preso d’assalto Ikea. Abbiamo proclamato lo sciopero per tutelate anche loro, anche chi non ha piena consapevolezza di quello che sta accadendo in questa seconda ondata di pandemia”.
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A Firenze, intanto, l’Ikea dell’Osmaronno (Firenze) sembra aver fatto un passo indietro, anche a fronte delle parole del direttore di Confesercenti Massimo Biagioni, anche lui molto critico nei confronti dell’aumento del numero massimo di clienti all’interno del negozio. Il negozio Ikea avrebbe infatti fatto circolare un comunicato con il quale sembra rivedere i criteri di accesso, cedendo a una riduzione del numero di ingressi: “Per Ikea la salute dei co-worker e dei clienti è una priorità e per questo fin dal primo momento ci siamo adeguati alle indicazioni delle autorità. In ottemperanza al Dpcm del 3 novembre nelle zone gialle e arancioni chiuderanno gli store ricompresi nei centri commerciali. Inoltre, nei giorni scorsi, Ikea ha deciso di ridurre il livello di capacità massima degli store. Le nuove disposizioni permetteranno di evitare assembramenti tra tutti i visitatori, continuando a garantire un’esperienza di acquisto nelle condizioni più sicure possibili”.
E i piccoli commercianti?
Nel frattempo, a fronte di questi grandi paradossi, nei giorni scorsi è cresciuto il malcontento di ristoratori e commercianti, soprattutto nelle zone rosse. Così circa 300 manifestanti si sono radunati sotto casa del sindaco di Bergamo Giorgio Gori, per protestare contro le nuove strette introdotte. Tra di loro, “ristoratori, commercianti e partite Iva” ma anche anche “gruppi organizzati di estrema destra, negazionisti e alcuni esponenti della Lega”, scrive il sindaco. Sulla vicenda si è espresso anche Decaro, per mostrare la sua piena solidarietà al sindaco di Bergamo e a tutti i sindaci stretti tra l’emergenza sanitaria, economica e sociale: “A Giorgio Gori va il sostegno e la solidarietà di tutti i sindaci d’Italia. I sindaci, che nella prima fase dell’epidemia sono stati sempre in prima linea senza mai tirarsi indietro, rischiano di restare l’unico avamposto di tutte le istituzioni, sempre i primi destinatari di richieste di spiegazioni, di lamentele e anche di proteste”. Antonio Decaro definisce quanto accaduto sotto casa del sindaco Gori “la trincea della vita reale”. Forse la realtà di tutti i giorni assumerebbe un volto meno bellicoso se solo si avesse il coraggio di guardare in faccia i grandi paradossi, e di combattere queste sproporzioni attraverso la normativa.