Il virologo di Padova, Andrea Crisanti, mette in guardia il governo sulla possibilità che le Regioni trucchino i dati sul Covid.
Truccare i dati per evitare la chiusura. Questa la possibilità paventata da Andrea Crisanti, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Padova, alla luce delle comunicazioni sul nuovo Dpcm fatte ieri – lunedì 2 novembre – alla Camera dei Deputati dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il virologo ha spiegato le sue perplessità in un’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa, augurandosi che il governo spieghi bene il provvedimento prima di renderlo ufficiale.
Stando alle parole di Crisanti, il fatto che le Regioni debbano comunicare all’esecutivo i propri dati sull’andamento del Covid nel territorio potrebbe causare confusione. E la decisione del governo di varare “mini-lockdown” potrebbe spaventare i governatori. “Ho letto che ci sarebbero 21 criteri per decidere se una regione appartenga alla zona verde, arancione o rossa”, ha detto il virologo. E ha sottolineato: “Mi sembrano tanti, ma immagino che quelli fondamentali riguardino il riempimento dei posti in ospedale. Non vorrei che un provvedimento simile inducesse le Regioni a non essere totalmente trasparenti riguardo a questi dati”.
Ma perché dovrebbero farlo? Non sarebbe un rischio troppo grande? A questo punto, la questione si trasferisce su un piano puramente politico, e non più sanitario, secondo Crisanti. “Se un presidente pensa che il successo politico si dimostri non chiudendo la propria regione – è il ragionamento – ci sono mille modi, non dico per truccare i dati, ma per aggiustarli, così stare sotto soglia. Ad esempio basta non ricoverare al momento giusto e mandare a casa persone che sono borderline”. Il problema sollevato è serio e, se si verificasse, potrebbe causare ingenti danni.
Un altro punto controverso del prossimo Dpcm, su cui si è espresso Crisanti, è quello riguardante la scuola. Il provvedimento prevede la Didattica a Distanza (DaD) al 100 per cento per le classi superiori e, per quanto sia un rischio per l’incremento delle differenze sociali, per il virologo è l’unica soluzione possibile. Diverso il discorso per i bambini che vanno dai 4 ai 10 anni, per cui l’istruzione dovrebbe comunque rimanere in presenza. Il motivo? “I bambini dai 4 ai 10 anni si infettano poco e pongono rischi più bassi. Quindi dovremmo cercare di mantenere l’attivita’ didattica in presenza sicuramente per le elementari e medie”, ha sottolineato.
“La Didattica a distanza – ha detto infine il professore – aumenta le differenze sociali e l’impatto sulla famiglia ma è chiaro che se si apre la scuola come abbiamo fatto, ovvero senza educare i ragazzi all’uso della mascherina e con i trasporti affollati come li abbiamo visti, ci sono una serie di contraddizioni e incoerenze che i ragazzi percepiscono. E succede quello che abbiamo visto”.
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