Un panorama scoraggiante e umilante, quello di Milano ai tempi del Covid: i giovani in cerca di lavoro sono costretti ad affrontare un’Odissea fatta di domande scomode e contratti da fame. Ma le cose non vanno meglio per chi non ha perso il lavoro.
La crisi provocata dalla pandemia di coronavirus, sta avendo i suoi tragici effetti anche su quello che è il mondo del lavoro. Secondo un articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano, sono tantissime le offerte lavorative umilianti e avvilenti che stanno fioccando tra le aziende e le realtà di Milano. Si parla di un qualcosa come 800 euro al mese per 54 ore a settimana (“senza pausa pranzo”) nello showroom di moda, 450 euro di rimborso spese nei franchising del gruppo Gabetti, 1000 euro compreso il “fuoribusta” per il cameriere del ristorante stellato con menù da 120 euro a persona.
Ma si parla anche di contratti interinali promessi e “svaniti nell’arco di due ore”, di Ccnl dichiarati incostituzionali per le retribuzioni troppo basse, di dimissioni obbligate e riassunzioni con paga più bassa. In sede di colloquio, poi, non paiono mancare nemmeno domande scomode – come “Lei è fidanzata?”.
Un panorama, quello milanese, che fa paura. Perché nonostante il blocco dei licenziamenti disposto dal governo, sono 110mila i posti persi in Lombardia solo nei primi 6 mesi del 2020, secondo la Cisl. Ma quando il licenziato si rimbocca le maniche per trovare una nuova occupazione, si ritrova offerti compensi inferiori alla soglia Istat di povertà assoluta per quest’area del Paese.
I giornalisti de Il Fatto Quotidiano hanno avuto modo di intervistare Valentina, una 28enne siciliana laureata in comunicazione e marketing finita senza lavoro da marzo. A causa del Covid, infatti, ha perso il suo stage da 650 euro mensili. Ed è ricominciata, per lei, l’odissea che accomuna tutti quelli in cerca di lavoro. “Appena riesci mandaci i tuoi documenti così da mandarti il contratto”, le avevano scritto da un’agenzia interinale di Milano, convocandola per il giorno successivo nella sede di una multinazionale. Ma sono bastate solo due ore per mandare tutto in fumi. “Il cliente ci ha revocato l’incarico”, ma per rimediare all’inconveniente le hanno proposto la svendita di un noto marchio di moda in via Savona.
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A Valentina sarebbe stato dunque offerto un contratto intermittente di 15 giorni, nel settore Ccnl dei “servizi ausiliari fiduciari” – quello della security e dei servizi di sicurezza, con mansioni che prevedono l’accoglienza fino anche alla movimentazione delle merci in magazzino. “Uno dei peggiori dal punto di vista retributivo”, ha spiegato l’avvocato Lorenzo Venini, giuslavorista dello studio legale Diritti e Lavoro di Milano.
Da quando è iniziata la pandemia Valentina non ha visto un euro, nessun bonus o ammortizzatore sociale. Niente cassa integrazione o Fis perché non è mai stata una dipendente. Niente bonus partita iva perché non è una libera professionista. Niente disoccupazione (Naspi) perché mai assunta per davvero se non a colpi di stage.
Sono in tanti, però, quelli costretti ad affrontare le stesse difficoltà e umiliazioni di Valentina. Come nel caso di Chiara, commessa del centro di Milano licenziata sotto la batosta della pandemia. Attiva nella ricerca di una nuova occupazione, sarebber una dozzina i colloqui realizzati da maggio a ottobre, nel settore retail. Eppure, nessuna delle offerte proposte dalle aziende ha mai superato per importo la disoccupazione.
E c’è anche il caso di Stefano, cameriere di un ristorante stellato con menù degustazione da 120 euro a persona. Stefano non è stato licenziato, guadagna mille euro al mese di stipendio (già da prima del Covid), compreso il “fuori busta” – cioè il nero. Ma la cassa integrazione non tiene certo conto del “nero”. In questi mesi di cassa, allora, Stefano ha dovuto vivere con cifre intorno ai 500 euro. E con i tempi difficili di oggi, tra ripartenze e intoppi, ora ha dovuto persino accettare un aumento delle mansioni a parità di stipendio.
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