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Cronaca

Covid, corsa al vaccino: volontari sottoposti a test, ma tanti rischi

Affinché il vaccino possa essere distribuito, è necessario sottoporlo a test sperimentali. Giovani sani si sono proposti come volontari, ma i rischi possono essere tanti.

La corsa alla produzione dei vaccini contro il Covid-19 è in atto ormai da mesi. Prima di essere distribuite, tuttavia, le dosi dovranno essere sottoposte a una fase sperimentale. Migliaia di volontari, a tal fine, si stanno candidando per essere tra i primi a ricevere le dosi. I rischi tuttavia non mancano.

I volontari per il vaccino

Ben 26 mila persone, negli Stati Uniti e in altri 139 paesi, hanno dato, attraverso la piattaforma online 1DaySooner, la loro disponibilità a sottoporsi alla somministrazione delle prime dosi di vaccino e, in particolare, a uno “human challenge trial”. Si tratta di uno studio da effettuare su soggetti giovani e sani, i quali dopo essere stati vaccinati vengono sottoposti a cariche virali di Covid-19 di volta in volta più elevata. L’obiettivo è testare se il vaccino garantisce davvero protezione immunitaria a qualsiasi livello.

Un progetto di questo genere più concreto è quello promosso dal  Royal Free Hospital di Londra e gestito dall’azienda irlandese Open Orphan. Esso è denominato “Covid-19 challenge study” e dovrebbe avere inizio a gennaio 2021. Il via libera dell’agenzia regolatoria britannica e l’approvazione del comitato etico devono tuttavia ancora arrivare.

Le perplessità degli esperti

Il dubbio è che l’esposizione dei soggetti all’agente patogeno possa avere dei rischi. La comunità scientifica, in tal senso, ha pareri contrastanti. “Ci muoviamo certamente su un terreno incognito“, ha detto Gilberto Corbellini, che insegna Bioetica e Storia della Medicina alla Sapienza Università di Roma. La verità, tuttavia, è che questi studi sono sempre stati effettuati nella storia, proprio al fine di avere innovazioni scientifiche. “Lo fece Jenner, per esempio, quando nel 1796 fece le sue sperimentazioni sul figlio del giardiniere. Inoculò il vaccino nel ragazzo, e poi il virus del vaiolo umano. Oggi non sarebbe pensabile, ma non dobbiamo dimenticare da dove viene la medicina“, ha spiegato.

Attualmente sul Covid-19 non si hanno abbastanza informazioni da stabilire se esso sia realmente innocuo su tutti i giovani sani. Un consenso firmato dal soggetto che si sottopone alla sperimentazione, in questo tempo, non può eliminare i dubbi etici. “Una percentuale seppur piccola degli infetti – sottolinea Corbellini anche giovani, cioè nella fascia di età considerata nel Covid-19 challenge study (18-30) potrebbe sviluppare una forma grave della malattia, che in assenza di una terapia certa e sperimentata potrebbe portare rapidamente alla morte. Non c’è insomma un piano B nel caso in cui le cose si mettessero male per il volontario“.

Il consenso

L’assunzione del rischio da parte dei volontari è a discrezione personale. A spiegarlo è Elisabetta Sirgiovanni, ricercatrice in neuroetica al Dipartimento di Medicina molecolare dell’ateneo romano. “Nella sperimentazione scientifica il consenso prevede che i partecipanti allo studio vengano informati nel modo più approfondito possibile. Finalità della ricerca, procedure, vantaggi, rischi o inconvenienti, durata, diritto alla riservatezza, diritto di ritirarsi dallo studio, diritto all’oblio dei propri dati, e così via. Il consenso non può essere concepito come un modulo da firmare e lì si chiude tutto, ma come un processo che si svolge per tutto il corso della sperimentazione e può essere revocato in qualsiasi momento“.

Gilberto Corbellini, docente di Bioetica e Storia della Medicina alla Sapienza Università di Roma – meteoweek.com

Un volontario, inoltre, è importante che possa tirarsi indietro in qualsiasi momento, proprio a fronte di rischi elevati per la sua salute. “I cosiddetti “challenge studies” – continua –prevedono di sottoporre più volte le procedure di consenso ai partecipanti, in particolare perché possono sopravvenire nuovi dati che richiedono un nuovo consenso. I partecipanti hanno il diritto di esplicitare i propri dubbi e chiedere ragguagli agli sperimentatori in qualsiasi stadio della ricerca, e soprattutto devono essere messi nelle condizioni di serenità e di non pressione psicologica per potersi ritirare dallo studio in qualsiasi momento, se lo ritengono e se è preferenza maturata anche successivamente“.

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Le tempistiche della sperimentazione

Se, da un lato, il Covid-19 necessita di una cura imminente, dall’altro è necessario avere pazienza e seguire il corretto protocollo. Una sperimentazione veloce potrebbe portare ad un vaccino non efficiente. Prima di ottenere risultati significativi dai dati relativi alle reazioni dei volontari al vaccino trascorreranno mesi. Accelerare il processo causerebbe una perdita di qualità nelle informazioni. Non è dello stesso parere Josh Morrison, fondatore della piattaforma 1DaySooner: “Ogni giorno risparmiato potrebbe salvare 7120 persone. Accorciare di tre mesi lo sviluppo di un vaccino risparmierebbe oltre mezzo milione di vite”.

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Il parere degli esperti è tuttavia chiaro: “Se dovesse mai succedere qualcosa a uno dei volontari nel trial, saremmo sommersi da un’ondata anti-vax che non ci possiamo proprio permettere“, sottolinea il dottor Gilberto Corbellini. Inoltre, una sperimentazione rapida e selettiva potrebbe fare sì che il vaccino diventi sicuro soltanto per una élite di giovani sani e forti. Risultati generati dall’eroismo dei volontari, ma anche dalla volontà di percepire un compenso economico, oltre che sociale. “I biologi evoluzionisti e la teoria dei giochi in economia ci insegnano che l’altruismo viene eseguito per ottenere reciprocazione, anche se non immediata e cosciente” conclude la ricercatrice Elisabetta Sirgiovanni.

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