Le simulazioni dell’Istat relative al nuovo assegno unico per i figli, che andrà a sostituire detrazioni fiscali e assegni al nucleo familiare dal prossimo luglio, annunciano che esso potrebbe per molti essere meno conveniente.
L’Istituto nazionale di statistica (Istat) ha elaborato le prime simulazioni sull’assegno unico per i figli sotto i ventuno anni. Il nuovo contributo universale, in base agli annunci del Governo, entrerà in vigore il 1° luglio 2021. Esso andrà a sostituire il pacchetto di misure di sostegno attualmente in vigore, come le detrazioni fiscali e i bonus bebé. La somma verrà erogata mensilmente e sarà definita in parte in base al reddito delle famiglie per ogni figlio a partire dal settimo mese di gestazione. Le stime, tuttavia, non sembrano essere favorevoli a molte famiglie.
L’Istat, attraverso l’analisi dei dati, ha stimato che il 29,7% delle famiglie attraverso l’assegno unico per i figli rischia di prendere meno denaro di quanto prende oggi. Finora quel che è certo è che il contributo sarà composto da una quota universale pari a circa 40 euro e una variabile in base al reddito. Quest’ultima verrà calcolata a “scaglioni”. Per il primo e il secondo figlio si va da un massimo di 200 euro ciascuno al mese per i redditi più bassi. Per quelli superiori a 75 mila euro, invece, la parte variabile dell’assegno sarà di soli 40 euro mensili a figlio.
Al di sopra della maggiore età il contributo subirà una riduzione della metà. Dal terzo figlio in poi, invece, la parte variabile sarà aumentato del 20%. Si stanno studiando ulteriori maggiorazioni per coloro che hanno a carico figli disabili, per i genitori molto giovani e per i nuclei monogenitoriali. L’obiettivo è di risollevare il tasso di natalità dell’Italia, che è il più basso in Europa.
Una riforma di questo genere dovrebbe permettere al 68% delle famiglie con figli di avere un incremento del reddito. Anche coloro che non hanno accesso ai contributi attuali, come i nuclei che percepiscono il reddito di cittadinanza, inoltre, potrebbero usufruirne. A fronte di tutti questi parametri e calcoli, tuttavia, per una parte delle famiglie l’assegno universale sarebbe meno conveniente rispetto ai precedenti contributi. Si tratta del 29,7% dei nuclei familiari. Le famiglie più in questo senso “svantaggiate” sarebbero quelle con il reddito più alto. Per il 2,4% dei genitori, invece, la situazione non cambierebbe.
“La previsione di una clausola di salvaguardia garantirebbe a tali famiglie un riposizionamento in condizioni di parità“, ha detto il presidente di Istat, Gian Carlo Blangiardo, nel presentare alla Camera i risultati dell’analisi.
Il saldo negativo per le famiglie con i redditi più alti non è l’unico problema dell’assegno unico per i figli. Esso, infatti, a fronte della crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19 che l’Italia sta vivendo, potrebbe non bastare. Stime di questo genere, in particolare, si basano sulle spese scolastiche effettuate dai genitori nel corso degli anni precedenti, i cui dati sono stati esposti alla Camera nell’audizione sul Family Act. Gran parte del contributo annuale, infatti, potrebbe dovere essere speso per tasse e rette scolastiche pubbliche o private, nonché talvolta universitarie, quest’ultime le più cospicue (in media 1700 euro all’anno), che coinvolgono circa 1 milione e mezzo di famiglie in Italia. A ciò si aggiungono le spese dei libri di testo. Un contributo onnicomprensivo, dunque, dovrebbe tenere a mente anche tutti questi aspetti.
Un altro problema riguarda l’abrogazione delle detrazioni fiscali. Esse, attualmente in vigore per i figli a carico (ovvero con un reddito lordo inferiore ai 4 mila euro oppure inferiore a 2.840,51 euro per coloro che hanno più di 24 anni), infatti, attualmente non hanno limiti di età. Con la loro abrogazione, dunque, verrebbero penalizzati tutti quei nuclei familiari in cui vivono figli di più di 21 anni che tuttavia ancora non sono indipendenti.
Se le detrazioni fiscali si basano e le altre misure ad oggi in vigore si basano sul reddito familiare imponibile, inoltre, con l’assegno unico per i figli si passerà alla considerazione dell’Isee. Quest’ultimo prevede una scala di equivalenza in base al numero dei figli e tiene conto anche dell’abitazione e del patrimonio mobiliare di ogni componente del nucleo. L’operazione di traduzione potrebbe causare errori che si ripercuoterebbero soprattutto sulle famiglie più numerose.
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