La Repubblica Ceca, che aveva superato senza troppi problemi la prima ondata, ora si trova a gestire una situazione drammatica.
Il Paese quasi risparmiato dalla prima ondata è ora tra i più colpiti al mondo: la repubblica Ceca sta vivendo uno dei periodi più drammatici della sua storia. La pandemia sta colpendo duramente: nell’ultima settimana si è registrato un sesto dei morti totali, gli ospedali sono praticamente saturi, centinaia di medici in arrivo dall’estero. Addirittura il sindaco di Praga, che è laureato in medicina, è tornato in corsia ad aiutare medici ed infermieri allo stremo. Sembra la Lombardia di marzo, è la Repubblica Ceca di ottobre. Il più recente e grave focolaio di coronavirus d’Europa, con il peggior aumento di casi settimanali rispetto alla popolazione, da giovedì mattina è di nuovo in lockdown quasi totale. Una settimana dopo aver chiuso scuole, bar e ristoranti, il governo ha annunciato lo stop a tutte le attività commerciali e i servizi «non essenziali», permettendo ora alle persone di uscire quasi solo per fare la spesa, andare in farmacia o in edicola, fare una passeggiata nella natura (incontrando al massimo una persona, e mai a meno di 2 metri di distanza). Vanno avanti i cantieri, le officine, alcune attività produttive. Almeno fino al 3 novembre, sperando non sia già troppo tardi.
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Non c’è altra strada che questa, nel Paese da 10,6 milioni di abitanti che ieri ha registrato 14.968 nuovi casi; che ha il più alto tasso di contagi del continente (negli ultimi 14 giorni i casi cechi sono 1066 ogni 100 mila abitanti; il triplo della Spagna e del Regno Unito, quasi 6 volte l’Italia, secondo i dati dell’Ecdc). Il numero di morti è in rapidissima crescita: fino a fine settembre non avevano mai superato i 15, lunedì sono stati 100 in un giorno: il giorno prima del lockdown deciso la notte del 7 marzo, la Lombardia ne aveva 135. La somma dei decessi delle ultime due settimane è di 8.5 ogni 100 mila abitanti, il doppio degli altri due Stati europei più in crisi (Romania e Ungheria). Sono morte per Covid 1.739 persone in tutto il 2020 nel Paese: 253, più di un sesto, questa settimana, in cui solo l’Argentina — rispetto alla popolazione — ha fatto peggio al mondo. Negli ultimi venti giorni oltre 17 mila persone con più di 65 anni hanno contratto il virus: le conseguenze si sono viste presto su ospedali e vittime. Il disastro è cominciato a ottobre: fino all’inizio mese la Repubblica Ceca aveva avuto 30 mila casi in totale da inizio pandemia, e una prima ondata quasi inesistente, contenuta con un lockdown molto tempestivo.
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A luglio sul ponte Carlo fu organizzato un grande banchetto (con centinaia di persone) per festeggiare la fine dell’epidemia. Alla fine dell’estate è cambiato tutto. Ora i casi sono quasi 130 mila, e aumentano di 15 mila al giorno, con un tasso di positività dei tamponi del 30% (il più alto in Ue). Il ministro della Sanità, l’epidemiologo Roman Prymula, ha spiegato che oltre 4.400 persone sono ricoverate nel Paese al momento: «Gli ospedali sono all’80% della loro capacità». Anche aumentando i posti di 10 mila unità, secondo il primo ministro Andrej Babiš «la saturazione completa delle strutture è prevista tra il 7 e l’11 novembre». Tra le misure previste, c’è quella di portare i malati meno gravi in hotel e spa, oltre che nell’ospedale da campo da 500 posti di Letnany, allestito a Praga dai militari. In terapia intensiva ci sono 611 persone, il 15% dei malati totali. Ma è previsto un incremento anche di questi. Come accadeva in Italia a marzo, la Repubblica Ceca ha deciso di accettare l’aiuto dei Paesi dell’Ue e della Nato, che invieranno 300 tra medici e infermieri, e un centinaio di ventilatori. Nel Paese al momento 6.600 operatori sanitari sono infetti, di cui 1.600 dottori.
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