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Economia

Il Covid aumenta le diseguaglianze: “Serve un cambio di rotta”

La pandemia di Covid provoca la più grave crisi economica dal 1929 e aggrava diseguaglianze e povertà. Il FMI sembra pronto ad un cambio di rotta.

La pandemia non accenna a rallentare: finora ha causato più di un milione di morti in tutto il mondo, generando la peggiore recessione economica dal 1929, ben più grave di quella prodotta dalla crisi del 2008.

L’allentamento estivo delle misure di contenimento, dopo i precedenti lockdown, ha ridato respiro all’economia e all’occupazione, ma ormai quasi ovunque il contagio ha ripreso a correre e diversi paesi sono costretti a imporre nuove misure draconiane. Il tasso di occupazione è sceso considerevolmente, danneggiando soprattutto i lavoratori dipendenti e autonomi di fascia bassa, i giovani, i precari e le donne. Secondo la Banca Mondiale il numero di persone estremamente povere – quelle che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno – è destinato ad aumentare fino al 9,4% della popolazione globale, mentre prima della pandemia si stimava un calo al 7,9%. I nuovi poveri, afferma la Banca Mondiale, saranno concentrati soprattutto nei paesi a reddito medio, fino a raggiungere complessivamente quota 115 milioni. Questo nonostante le misure economiche previste dalla maggior parte dei governi mondiali e dalle varie banche centrali: i tagli fiscali, i prestiti agevolati, i risarcimenti ai settori più colpiti, le iniezioni di liquidità hanno rappresentato finora poco più di un tampone.  Secondo il nuovo rapporto di Caritas Italiana dal titolo “Gli anticorpi della solidarietà”, pubblicato in occasione della Giornata mondiale di contrasto alla povertà, le cose in Italia non vanno meglio. Confrontando il periodo maggio-settembre del 2019 con lo stesso periodo del 2020 emerge che l’incidenza dei nuovi poveri passa dal 31% al 45%. Quasi metà di chi si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Aumenta soprattutto il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza (52% rispetto al 47,9% del 2019) e delle persone in età lavorativa. Dallo studio si evince che, comunque, la situazione precedente alla pandemia era già assai più grave rispetto a quella del 2007, con una percentuale di poveri assoluti doppia.

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Le stime del FMI sono poco rassicuranti

Per fine 2020 il Fondo Monetario Internazionale prevede, al momento, una decrescita mondiale del 4,4% del Prodotto Interno Lordo, con un recupero dello 0,8% rispetto alle stime del giugno scorso; il lieve incremento dovuto al rilassamento delle misure di confinamento seguito ai lockdown della primavera ha invertito parzialmente la tendenza. Ora però all’orizzonte si prospetta un nuovo consistente peggioramento che interesserà soprattutto le cosiddette “economie emergenti” e quelle dei paesi “in via di sviluppo”. Le stime prevedono un ulteriore aumento della forbice tra queste ultime e le economie del primo mondo. Se la “recessione da Covid” dovesse protrarsi, la stima di un rimbalzo del 5.2% del Pil globale nel 2021 potrebbe rivelarsi fin troppo ottimistica.

Un discorso a parte merita la
Cina che, avendo affrontato per prima e (per ora, sembra) tenuto a bada la pandemia grazie ad un grande sforzo sanitario e organizzativo, è proiettata verso un consistente miglioramento dei dati macroeconomici rispetto al 2019. Tutti gli altri paesi vedranno il loro Pil scendere al di sotto dei livelli raggiunti lo scorso anno. Il calo generalizzato – seppur diseguale – del Pil produrrà ovviamente un crollo del reddito pro capite dei singoli cittadini e del loro potere d’acquisto. Anche in questo caso, il peggioramento delle condizioni di vita inciderebbe di più nei paesi emergenti o in via di sviluppo rispetto alle economie dell’emisfero settentrionale.

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Questo, associato ad un aumento consistente della disoccupazione e della sottoccupazione, potrebbe generare una condizione dalla quale difficilmente la maggior parte dei paesi riuscirebbe ad uscire in tempi brevi. Lo spettro che si affaccia è quello di una nuova crisi dei mercati finanziari oltre che di un drastico calo degli investimenti, degli scambi commerciali e dei consumi interni.

Il FMI consiglia ai governi di sostenere settori e paesi in crisi

In un recente intervento la statunitense Gita Gopinath, capo economista e direttrice del dipartimento ricerca del FMI, consiglia ai governi di continuare a offrire sostegno al reddito dei lavoratori e alle imprese, grazie a sussidi e ad una sospensione del pagamento delle imposte. Gopinath suggerisce anche la ricollocazione di una certa quota di dipendenti dai settori in crisi (quello del turismo e dei viaggi) verso settori in espansione (l’e-commerce).
In particolare, le economie di mercato emergenti o in via di sviluppo dovranno aumentare la spesa sanitaria e gli aiuti ai settori più poveri della società, quelli maggiormente colpiti. Ma, ammette la capo economista del FMI, questi paesi hanno grossi limiti di spesa, oppressi come sono dal debito e dalla scarsità di risorse a disposizione; dovrebbero quindi essere sostenuti dalle economie sviluppate con donazioni, dilazioni e ristrutturazioni del debito.

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Il problema è che i rapporti tra le economie del primo mondo e le altre sono stati finora tutt’altro che improntati alla solidarietà o quantomeno alla cooperazione. Al contrario, l’estrema competizione tra i paesi sviluppati ed emergenti ha riportato in auge le guerre commerciali. Inoltre, sono state spesso proprio le condizioni capestro che hanno accompagnato i prestiti del FMI o dell’UE ai paesi in difficoltà ad obbligare i governi di questi ultimi a tagliare la spesa sanitaria e ad incentivare la sanità privata rispetto a quella pubblica. Ciò ne ha diminuito la resistenza di fronte all’attuale pandemia e alle altre calamità, naturali e non.

Oxfam denuncia: il Covid ha aggravato le diseguaglianze esistenti

All’inizio di ottobre un rapporto pubblicato da Oxfam e dal Development Finance International metteva in luce il fatto che la pandemia di Covid19 non ha fatto altro che rivelare e approfondire le diseguaglianze già presenti. Il rapporto afferma che solo 26 dei 158 paesi analizzati investono a sufficienza in sanità pubblica e che i due paesi al mondo finora più colpiti dal virus, Stati Uniti e India, escludono centinaia di milioni di persone dall’assistenza sanitaria. Secondo lo studio gli USA si confermano il fanalino di coda tra i paesi del G7 per quanto riguarda la tutela sul lavoro e l’accesso alla sanità, con standard addirittura inferiori a paesi come la Sierra Leone o la Liberia. «In molti paesi, le politiche fiscali, di spesa pubblica e della tutela del lavoro si sono rivelate fortemente inadeguate a lottare contro la disuguaglianza. Questo ha reso più fragile la tenuta di molti Paesi di fronte all’immane emergenza della pandemia» ha spiegato Chema Vera, Direttore Esecutivo di Oxfam International, secondo il quale «Al netto della retorica, pochi governi al mondo negli ultimi anni si sono veramente impegnati a contrastare le disuguaglianze economiche e sociali e a tutelare adeguatamente le persone più vulnerabili. La pandemia ha peggiorato una situazione già gravemente compromessa».

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Servirebbe quindi una repentina inversione di tendenza e le conseguenze drammatiche sull’economia della pandemia potrebbero convincere le istituzioni internazionali ad un cambio di rotta. Le già citate raccomandazioni ai governi da parte della capo economista del FMI sembrano andare in questa direzione, confermando quanto emerge dal “Fiscal monitor” pubblicato recentemente. Nel rapporto, almeno teoricamente, il Fondo sembra mettere in discussione alcuni dei pilastri delle teorie liberiste che hanno guidato il suo operato negli ultimi quattro decenni, rivalutando ad esempio gli investimenti pubblici come volano di quelli privati e convincendosi dell’importanza della spesa sanitaria e di quella ambientale, da considerare un investimento economico preventivo e non un costo. Occorrerà vedere se siamo in presenza di un cambiamento di paradigma al quale faranno seguito interventi concreti e rapidi oppure se quello annunciato dal FMI e dalle altre istituzioni economiche internazionali rappresenta un semplice aggiustamento tattico.

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