Covid, la scoperta: scovata una ‘falla’ nel sistema immunitario

Uno studio dell’Università di Modena e Reggio Emilia, pubblicato sulla rivista Embo Molecular Medicine.

scovata una 'falla' nel sistema immunitario

Un malfunzionamento nella produzione dell’energia dei monociti, le cellule dell’immunità innata, impedisce al sistema immunitario dei malati gravi di Covid-19 di contrastare efficacemente il coronavirus. Ad affermarlo è uno studio dell’Università di Modena e Reggio Emilia, pubblicato sulla rivista Embo Molecular Medicine. Il lavoro del team di Unimore, coordinato dal professor Andrea Cossarizza e coadiuvato dalle ricercatrici Lara Gibellini e Sara De Biasi, fa seguito ad altre scoperte dell’Università di Modena sul Sars-Cov2. Recentemente il team del professor Cossarizza aveva scoperto che i linfociti (le cellule del sistema immunitario adattivo, che sviluppano gli anticorpi incaricati di combattere le infezioni) presentavano una specie di esaurimento funzionale.


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Il passo successivo, spiega Cossarizza all’ANSA, è stato quello di indagare i monociti: le cellule dell’immunità innata, in pratica i primi ‘soldati’ che il sistema immunitario mette in campo in caso di necessità. Queste cellule combattono le infezioni e, nel caso la loro azione sia insufficiente, forniscono ai linfociti le informazioni necessarie per attivare la loro risposta. La ‘falla’ individuata da Unimore è nel malfunzionamento dei mitocondri, responsabili della produzione di energia dei monociti. Insomma è come se una macchina fotografica fosse dotata di pile scariche o malfunzionanti.

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I monociti però continuano a produrre le molecole infiammatorie: elemento, anche questo, capace di spegnere la risposta dei linfociti. “Sulla base di questo studio – spiega il professor Cossarizza – è dunque possibile ipotizzare che nei polmoni dei pazienti che sviluppano una malattia grave arrivino dei monociti disfunzionali, non in grado di risolvere immediatamente l’infezione”. Questo, aggiunge, consente non solo di capire meglio la malattia ma anche “di pensare ad approcci terapeutici integrati”.

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