La conferenza stampa di ieri sera ha trasmesso a tutti un senso di allerta e preoccupazione, ma i numeri raccontano un’altra realtà.
Un’attesa di più di tre ore, un silenzio tombale. L’atmosfera che ieri sera – domenica 18 ottobre – ha caratterizzato la conferenza stampa del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha subito riportato la mente degli italiani ai tragici mesi di marzo e aprile. L’aria di gravità che aleggiava nel cortile di Palazzo Chigi ricordava il periodo in cui il Paese era costretto a casa e attendeva ogni settimana le comunicazioni del premier, ogni volta più dure, sull’andamento del coronavirus in Italia.
L’atmosfera grave
Gli elementi che aumentavano la tensione erano molteplici, a partire dal fatto che la conferenza si è tenuta all’esterno. Come se Palazzo Chigi non avesse una sala abbastanza grande per svolgere un incontro in sicurezza. Ma non solo. Per la prima volta il premier si è presentato con la mascherina indossata, e non l’ha levata per tutta la durata della conferenza. E infine pochi – pochissimi – i giornalisti ad assistere, distanziati di più di un metro, tutti con i dispositivi di protezione individuale.
L’ultimatum di Conte
E sebbene Conte abbia annunciato che il comportamento per affrontare la seconda ondata di coronavirus non può essere lo stesso adottato nella prima, la scenografia tetra tradiva le parole. L’impressione era più che altro quella di un “ultimatum” fatto agli italiani: il presidente del Consiglio ha prima definito “critica” la situazione dei contagi nel Paese, poi ha sottolineato che l’unico modo per “scongiurare un nuovo lockdown generalizzato” è rispettare le nuove misure del Dpcm. Pena la quarantena.
I numeri reali
Così il premier ha seminato il panico, anche se osservando i numeri – come nell’analisi realizzata da Meteoweek – la situazione sembra meno preoccupante di come non venga presentata. Facendo un paragone tra ieri – 18 ottobre – e il 19 marzo scorso, quando l’Italia si trovava in pieno lockdown e aspettava di raggiungere il picco dei contagi, risulta subito evidente che l’andamento del virus è differente. In concreto: a marzo i ricoverati con sintomi erano più del doppio di quelli di oggi, 15.757 contro i 7.131 odierni. Stesso discorso per i pazienti in terapia intensiva, che a marzo erano stati 2.498 e ora si fermano a 750. Infine i decessi, che sono diversi centinaia di meno. Se il 19 marzo i morti erano stati 427, ieri sono stati 69.
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La proporzione tra casi positivi e tamponi effettuati
L’unico dato che potrebbe confondere è quello sui nuovi casi positivi registrati ogni giorno. Il 19 marzo, infatti, erano 5.322. Ieri sono stati rilevati 11.705 nuovi contagi. Più del doppio. La chiave di lettura, tuttavia, sta nel numero di tamponi effettuati, oggi 74 volte di più rispetto a sette mesi fa. Al 19 marzo erano stati effettuati 182.777 test, e i 5.322 nuovi casi del giorno corrispondevano al 2,9 per cento dei tamponi effettuati. Ieri il totale dei test ha raggiunto i 13.540.582, e i 11.705 contagi rappresentano lo 0,09 per cento del totale dei tamponi effettuati.