Tutti la conosciamo come Adua del Vesco, ma il suo nome vero è Rosalinda Cannavò, attrice italiana, che sta partecipando all’edizione 2020 di questo Grande Fratello Vip.
Il nome d’arte è preso di Adua è preso da “I colori della vita”, miniserie del 2005 co-sceneggiata da Teodosio Losito.
A soli 24 anni la giovane attrice si è trovata spesso ad affrontare delle esperienze di vita molto difficili.
Leggi anche–>Già da piccola bellissima, oggi è la diva del Grande Fratello Vip: chi è?
Adua Del Vesco: da bambina sorridente a ragazza fragile
Adua Del Vesco ha sofferto di depressione e anoressia e ha vissuto delle storie d’amore architettate da parte dell’agenzia della quale faceva parte insieme a Gabriel Garko e Massimiliano Morra.
Una vita non particolarmente felice, quella della ragazza che ha sempre dichiaro di essere molto legata alla sua famiglia. Adua ricorda l’infanzia con particolare nostalgia: quel momento è per lei associato alla purezza e alla spensieratezza, ad un tempo in cui non c’erano complicazioni, come invece è successo successivamente all’interno della sua vita.
Leggi anche–>“Era una bambina quando fu catturata”: Adua Del Vesco, nuovi inquietanti dettagli
https://www.instagram.com/p/CFT-a0liFJE/
Il periodo buio di Adua: depressione e anoressia
Da alcune foto condivise sui social Adua appare piccola e spensierata, ignara della vita che l’aspettava. In alcune foto la vediamo da bambina, con i capelli corti e mossi e un accenno di frangia a coprirgli la fronte. Fin da piccola, la Del Vesco era bellissima e riconosciamo nelle immagini lo stesso sguardo, la stessa bocca e la stessa espressione che ritroviamo nella ragazza di oggi.
Adua è siciliana, nata a Messina, nel 1994 e ha cominciato a dedicarsi alla recitazione già a 16 anni. Ha debuttato nel 2012 come e protagonista della terza stagione di “L’onore e il rispetto”. Del suo periodo più buio ha dichiarato: “Il mio male è nato nel momento in cui mi sono affacciata sul mondo e ho scoperto che non serviva a nulla la mia ingenuità, dovevo cominciare a macchiarmi e a non guardarmi troppo attorno se volevo sopravvivere. Così ho costruito la mia prigione, proiettando il mio disagio su ciò che di più manipolabile pensavo di avere: il corpo”.