Il giudice di Prato ha deciso di cancellare un debito da mezzo milione a un artigiano che non era più in grado di ricoprire quel debito. L’uomo, per salvare l’azienda di cui era diventato socio di minoranza, ha firmato una fideiussione. Il tutto è stato possibile grazie a un’applicazione della legge Salva suicidi.
E’ avvenuto presso il tribunale di Prato, dove il giudice ha deciso di cancellare un debito da mezzo milione di euro a un artigiano ormai non in grado di saldarlo. L’uomo, per salvare l’azienda di cui era diventato socio di minoranza, ha firmato una fideiussione. La sentenza del giudice è assolutamente legittima, in quanto applicazione della legge Salva suicidi. Così è stato possibile azzerare il maxi-debito contratto dall’artigiano afflitto dalla crisi, che ha fatto ogni cosa in suo potere per saldare il suo debito. Il giudice dopo aver verificato la sua buona fede, ha preso ciò di cui l’uomo disponeva (70mila euro) e ha cancellato il debito per i restanti 430mila. Così una particolare applicazione della legge Salva suicidi avrebbe consentito di salvare, nei limiti consentiti, le prospettive future dell’artigiano di 57 anni, che lavorava inizialmente come dipendente per una piccola azienda termoidraulica specializzata in impiantistica civile. Ma nel 2012 cambia tutto: l’azienda inizia a vacillare, i conti non sono in ordine, il titolare cerca di far entrare nel capitale della società anche i dipendenti.
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Poi il tentativo ultimo di scongiurare il fallimento: la richiesta di firmare come garante la fideiussione da 500mila euro. Infatti ora il legale dell’artigiano commenta: “Se un attimo prima il nostro assistito ci avesse chiesto consiglio nel merito, io gli avrei detto di non farlo. Abbiamo capito subito che c’erano tutti gli estremi per passare il vaglio della meritevolezza e ottenere la sdebitazione. Perché lui non si era mai esposto prima, aveva sempre pagato le tasse e mai aveva giocato d’azzardo. Aveva messo la firma su debiti che non erano suoi, e probabilmente lo aveva fatto senza nemmeno conoscere, in modo compiuto, tutte le conseguenze di quella firma”.
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A salvare la situazione, quindi, la legge 3 del 2012 (chiamata appunto legge Salva suicidi). L’intero procedimento sarebbe iniziato nel luglio 2014 e si sarebbe concluso cinque anni dopo. Nel mezzo, una serie di pignoramenti: da metà casa a parte dello stipendio, fino ad arrivare al motorino. Totale, però, la disponibilità dell’uomo, come riferito anche dal liquidatore. Poi la sentenza che gli permette di tirare un sospiro di sollievo: “Rilevato che l’indebitamento non è riconducibile a negligenza del debitore, ma piuttosto alla sua volontà di sostenere la società, impiegandosi in prima persona al fine di garantire l’accesso della stessa al credito bancario, rilevato che non è stata riscontrata l’esistenza di atti in frode […] dichiara inesigibili i crediti non soddisfatti”.