I finanzieri hanno scoperto una maxi frode fiscale che ha permesso ad un noto imprenditore di evadere oltre 15 milioni di euro, disposto sequestro di 6,5 milioni di euro
I finanzieri del Comando Provinciale di Messina hanno scoperto una maxi-frode fiscale che avrebbe permesso all’imprenditore Antonino Giordano di evadere complessivamente oltre 15 milioni di euro tra IVA, imposte sui redditi, sanzioni ed interessi. Su proposta della Procura di Messina, guidata dal Procuratore Maurizio de Lucia, il gip ha disposto il sequestro di 6,5 milioni di euro, sequestro eseguito oggi dalle Fiamme Gialle.
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In particolare, le indagini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Messina hanno accertato che la frode è stata commessa attraverso 13 aziende, con sede di fatto a Messina e sedi legali solo formalmente in Italia. Gli inquirenti hanno scoperto un vorticoso giro di trasferimenti finanziari tra le realtà societarie, che operavano nei settori edile, delle pulizie, dei trasporti, alberghiero, della ristorazione e della grande distribuzione, riferibili all’imprenditore messinese Giordano 52 anni, al fratello e a un prestanome. Da un’analisi dei flussi bancari e della documentazione amministrativo-contabile delle società è stato possibile scoprire il complesso schema ideato per frodare l’Erario.
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Il sistema prevedeva il trasferimento di ingenti somme di denaro dai conti correnti della società debitrice dell’erario – all’epoca, titolare di un appalto di 13 milioni di euro circa con un ospedale del Nord, per il servizio di pulizia e sanificazione – ai conti correnti delle altre realtà societarie del gruppo, così svuotandone le casse e minandone la relativa solidità finanziaria. Il ramo d’azienda che si era aggiudicato l’appalto milionario è stato ceduto ad una neo-costituita società, sempre riferibile allo stesso gruppo imprenditoriale, con lo stesso oggetto sociale, alla cifra irrisoria di 20mila euro. Fatti sparire i soldi ed un ramo d’azienda particolarmente redditizio, la procedura di riscossione coattiva per i debiti erariali iscritti a ruolo accumulatisi nel tempo era, quindi, definitivamente compromessa.
Il sistema prevedeva il trasferimento di ingenti somme di denaro intercompany dai conti correnti della società debitrice dell’erario – peraltro, all’epoca, titolare di un appalto, per ben 13 milioni di euro circa, con un importante ospedale del nord, per il servizio di pulizia e sanificazione – ai conti correnti delle altre realtà societarie del gruppo, così completamente svuotandone le relative casse e minandone la relativa solidità finanziaria. Ma c’è di più: il ramo d’azienda inerente l’appalto milionario era oggetto di cessione ad una neo costituita società, sempre riferibile allo stesso gruppo imprenditoriale, avente medesimo oggetto sociale, alla cifra irrisoria di 20.000,00 euro. Fatti sparire i soldi ed un ramo d’azienda particolarmente redditizio, la procedura di riscossione coattiva per i debiti erariali iscritti a ruolo accumulatisi nel tempo risultava, quindi, definitivamente compromessa. Le indagini hanno dunque consentito di ipotizzare come gli indagati abbiano distratto le somme che avrebbero dovuto essere utilizzate per adempiere agli obblighi tributari attraverso complessi giri di contabilità studiata ad arte, per prosciugare le casse di una società del gruppo.
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