Lombardia, infermieri in fuga dalle Rsa: turni massacranti e condizioni contrattuali sfavorevoli. Emorragia di professionisti mette le strutture sull’orlo del tracollo.
La seconda ondata dell’epidemia ha già fatto capolino nel nostro Paese e, alla stregua di quanto è successo qualche mese fa, sotto le sirene del primo allarme, pare che l’emergenza sanitaria anche questa volta sarà estremamente severa. A preoccupare sono di nuovo le Rsa, in particolar modo quelle lombarde. Come spiega Il Messaggero, le stutture sono sull’orlo del collasso, a causa della mancanza di personale. Gli infermieri, infatti, date le pessime condizioni contrattuale a cui sono sottoposti, stanno provvedendo ad attuare un licenziamento di massa.
Ma un simile fenomeno confluisce nel quadro generale del nostro Paese. In Italia infatti, a mancare sarebbero più di 53 mila infermieri, di cui 30 mila proprio sui territori. In questo senso, l’emorragia delle strutture per anziani è provocata dal sistema pubblico che assorbe assunti per affrontare l’emergenza sanitaria in atto. Principali responsabili sono dunque i numerosi bandi pubblici emessi dalle aziende sanitarie locali, ai quali i professionisti delle Rsa aspirano per ottenere una retribuzione mensile garantita e la possibilità di carriera – abbandonando così la prospettiva di turni di lavoro massacranti.
Turni massacranti e carenza di personale nelle Rsa
Chiaramente, la mancanza del personale è un problema di vecchia data. In questo periodo, tuttavia, il quadro si fa più preoccupante, tanto da essere stato già denunciato anche dai sindacati di categoria (NurSind e Nursing Up su tutti). Il pericolo, infatti, è che a fronte di un nuovo scossone da pandemia, le strutture possano ritrovarsi fortemente impreparate, qualora i contagi dovessero superare il livello di guardia. Altra possibilità, poi, è che possa rendersi necessario un conseguente aumento delle rette, a discapito però dei pazienti.
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Delle prospettive che fanno alzare scetticamente il sopracciglio, soprattutto alla lettura dell’ultimo report redatto dall’Istituto Superiore di Sanità. Nel documento di agosto, infatti, viene segnalato come all’interno delle case di riposo in cui sono presenti ospiti Covid (o presunti casi sospetti) vada garantita la presenza di infermieri 7 giorni su 7, per 24 ore al giorno. Diventa fondamentale, allora, invertire il trend emorragico degli infermieri.
La situazione, che rimane comunque alla maggior parte delle Regioni italiane, andrebbe cambiata riformando la qualità della vita lavorativa dei professinisti impegnati nelle Rsa. Basti pensare, del resto, a causa dei turni massacranti di lavoro (acuiti maggiormente ora che si avverte sempre più carenza di personale), il 43% del personale delle strutture per anziani del nord Italia presenta sintomi moderati-gravi da stress post-traumatico.
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A riportarlo è uno studio condotto nei mesi più difficili della lotta al Covid, messo a punto dall’Università di Trento in collaborazione con quella di Verona e di Glasgow, e pubblicato poi sulla rivista Royal Society Open Science. La diffusione di questi disturbi “è risultata più elevata delle attese (in base a uno studio molto simile effettuato sui lavoratori ospedalieri in Cina durante il picco dei contagi) e dovrebbe costituire un forte campanello d’allarme”, ha avvisato Elena Rusconi, docente di psicologia a Trento e co-autrice dello studio.