Un’infermiera dell’ospedale San Paolo di Civitavecchia prelevava i falsi tamponi per farli nelle case degli anziani. Lei e il compagno sono indagati per aver trafugato ed eseguito i test a diverse persone tra Civitavecchia e Roma.
Come succede sempre di fronte a determinate calamità, emergono anche in questo caso le figure degli sciacalli. Di fronte alla paura di aver contratto il Coronavirus e di poterlo diffondere ad amici e parenti, c’era la forte volontà di eseguire tamponi. E in questo scenario apparivano le figure di due persone, la cui attività criminale è stata subito fermata. Si tratta di un’infermiera, che prestava servizio all’ospedale San Paolo di Civitavecchia, e del suo compagno. Entrambi sono finiti nel registro degli indagati della Procura della Repubblica della città laziale.
L’accusa nei loro confronti è quella di aver prima rubato e poi eseguito dei falsi tamponi contro il Covid. E a farselo somministrare sono state diverse persone, divise tra le città di Civitavecchia e Roma. La donna, di 35 anni, si occupava di portare via dall’ospedale i test da somministrare, senza alcuna competenza. Ma alla fine, la loro attività illecita è stata fermata. I capi di accusa con cui sono indagati sono diversi: concorso in falsità materiale, sostituzione di persona ed esercizio arbitrario della professione medica. Ma potrebbe non essere finita qui.
Anche perchè il comportamento dell’infermiera e del suo compagno – quest’ultimo di 50 anni – potrebbe aver portato altre conseguenze. Come una ulteriore diffusione del contagio da parte delle persone che, attraverso questi falsi tamponi, erano convinti di essere risultati negativi. Ma a far sorgere il sospetto è un altro aspetto, ovvero il fatto che qualcuno possa aver preso esempio dalla coppia. Tanto che le indagini si stanno allargando per capire se la pratica del furto e somministrazione dei tamponi a domicilio si sia diffusa anche nella Capitale.
L’attività dell’infermiera di Civitavecchia e del compagno ha preso il via nel mese di settembre. Il compagno della donna si spaccia per medico ed esegue i primi tamponi ai lavoratori di una ditta di pulizie di Roma. Naturalmente, per far sì che il piano vada a buon fine, vengono distribuiti ai dipendenti falsi certificati di negatività al test. Tuttavia, una delle lavoratrici vuole vederci chiaro, dato che una postilla del certificato mostra l’eventualità che il tampone possa essere positivo. Da qui la donna approda allo Spallanzani per chiedere delucidazioni. E viene fuori l’inganno: l’esito è falso.
Viene scoperto che il referto è riconducibile a una Asl di Civitavecchia, anche se non è una cosa veritiera neanche questa. Così, direttamente dalla città laziale parte un’indagine condotta dai carabinieri. Il pubblico ministero Allegra Migliorini, che guida l’inchiesta, scopre nei dettagli l’iter seguito dalla coppia di malviventi. L’infermiera prelevava i tamponi dal reparto di ortopedia, dove vengono fatti i test a chi viene ricoverato. Poi li consegnava al suo compagno che li utilizzava per elargire i finti tamponi a domicilio (e a pagamento).
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L’uomo poi stilava i falsi referti, riproducendo fedelmente uno proveniente dallo Spallanzani. Ora le indagini proseguono proprio in questo senso, cioè per capire se tra le persone “tamponate” dalla coppia non ce ne sia qualcuno positivo. Anche perchè, nel caso in cui si sia verificata questa ipotesi, il soggetto in questione potrebbe aver contagiato tante altre persone. I carabinieri del Nas di Roma hanno perquisito l’appartamento della coppia, trovando tutto il materiale usato per la truffa. Dagli stick alle garze, dai lacci emostatici ai finti referti.
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