Briatore a rischio processo. Secondo la procura di Genova voleva riavere il suo yacht da 20 milioni ormai sotto sequestro dal 2010
Flavio Briatore rischia un processo per corruzione. La vicenda ha inizio nel maggio 2010, quando la Guardia di Finanza sequestra al noto imprenditore la barca Force Blue al largo di La Spezia. In quello yacht ci sono Elisabetta Gregoraci, ex moglie di Briatore, con il figlio e alcuni membri dell’equipaggio. Il sospetto degli inquirenti è di frode fiscale verificatasi intestando lo yacht a un’impresa con sede alle Cayman che di fatto l’uomo amministrava. Figurando come noleggiatore, il manager evitava di spendere 3,6 milioni di Iva all’importazione, non dovuta dai natanti che giungono in acque italiane a fini commerciali.
Nel febbraio 2018 Briatore è condannato in appello a 18 mesi con la confisca dello yacht ma la Cassazione annulla con rinvio per vizio di forma. Quando si conclude il secondo appello, il 4 ottobre 2019, l’evasione è prescritta ma resta la confisca. Manca un grado di giudizio e se la sentenza sarà confermata la yacht passerà nelle mani dello Stato.
Ma veniamo alla vicenda del processo per corruzione. “A noi bastano queste cinque righe… perché, detto molto trasparentemente, sono quelle che poi ci aiutano… perché un favore io a Briatore, se gli faccio dare tutti ‘sti soldi, lo devo fare, insomma“. A parlare è Andrea Parolini, commercialista di Flavio Briatore. Il 23 marzo 2017, negli uffici dell’Agenzia delle Entrate di Genova, il consulente fiscale incontra il direttore Walter Pardini e altre due funzionarie. L’intento è quello di riavere il Force Blue. Le “cinque righe” sopraccitate sarebbero una falsa attestazione che l’Agenzia, su richiesta di Briatore, avrebbe dovuto rilasciare all’interno dell’atto di conciliazione con lo stesso imprenditore. Si trattava di una nota sull’incertezza applicativa della regola che aveva sancito la sua condanna in primo grado per avere evaso 3,6 milioni di Iva sul natante.
Secondo la procura di Genova, come riporta Il Fatto Quotidiano, l’uomo si augurava l’assoluzione in appello e di riprendersi la sua barca del valore di 20 milioni. Dopo le indagini portate avanti seguendo le piste di corruzione e tentato depistaggio, terminate lo scorso febbraio, sono scattati gli arresti domiciliari per Pardini e Parolini e la sospensione dall’ufficio per le due funzionarie, Elena Costa e Claudia Sergi. Generalmente l’avviso di conclusione indagini precede la richiesta di rinvio a giudizio. Da ciò che riporta il Fatto Quotidiano, nei prossimi giorni i pm Patrizia Petruzziello e Walter Cotugno richiederanno il rinvio a giudizio per i 5 indagati, incluso Briatore, accusato di corruzione aggravata (in concorso con Parolini). Il manager rischierebbe fino a dieci anni dietro le sbarre.
Dopo la condanna in primo grado, Briatore intende ribaltare la sentenza e riprendersi lo yacht. Il suo legale, Franco Coppi, suggerisce di provare a conciliarsi con l’Agenzia delle Entrate. Parolini pensa di rivolgersi a Pardini che in un precedente incontro, come spiega ai pm, gli aveva parlato di “un amico, o un parente, che aveva investimenti in Kenya e che avrebbe avuto piacere di incontrare il sig. Briatore“.
In realtà è lo stesso Pardini, che il gip definisce, nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari, “persona particolarmente pericolosa e spregiudicata”, il proprietario di un resort in Africa, in quel momento in cattive acque dal lato economico. L’uomo avrebbe chiesto a Briatore, in cambio del proprio interessamento, “di utilizzare le sue più che notorie conoscenze negli ambienti della mondanità al fine di procurare e convogliare clienti”. Per questa ragione lascia a Parolini un foglietto di carta con scritto il suo numero personale: “Adesso, se vuole fare qualche proposta oscena, la fa direttamente sul cellulare”, afferma in un’intercettazione.
L’imprenditore accetta di versare all’Erario 3 milioni di euro, anche se non avrebbe interesse a farlo, poiché è difficile che i suoi beni, affidati a doversi trust esteri, siano confiscabili. In cambio, tuttavia, vuole che nell’atto di conciliazione ci siano le sopraccitate “cinque righe” che contraddicano gli elementi che hanno causato la sua condanna in primo grado. Secondo il gip si trattava di una nota “finalizzata a fuorviare il giudice penale nell’ambito del proprio giudizio”, ecco perché l’accusa di depistaggio. Sempre per il gip, “A fronte della sottoscrizione di una conciliazione per circa 3 milioni, Briatore avrebbe avuto così ottime possibilità di ottenere la restituzione, dello yacht Force Blue che aveva un valore di gran lunga superiore”.
Ora, però, per accontentare le suddette richieste, l’ufficio pubblico si sarebbe contraddetto, come dimostra quanto detto dalla funzionaria Sergi nell’incontro del 23 marzo: “Le incertezze sull’applicazione della norma, io c’avevo provato, poi mi sembrava un po’ in contrasto con la richiesta dell’imposta…”. In breve, se sostenevano che Briatore aveva ragione, come potevano chiedergli 3 milioni di euro di Iva? Ma Pardini non vuole ascoltare, poiché, se Briatore intende “dare tutti ‘sti soldi”, come dice il suo commercialista, il “favore” deve essere fatto.
Soprattutto perché il manager si è detto disponibile a supportare i suoi affari in Kenya. La funzionaria Eleonora Mannella disse ai pm che l’8 marzo “Parolini riferì a Pardini che Briatore era ben disposto relativamente alla richiesta che Pardini gli aveva rivolto. Disse espressamente che parlava a nome di Briatore, e che Briatore dava la sua disponibilità a convogliare personaggi illustri e a dare contatti, numeri di telefono e visibilità nelle occasioni mondane alle attività di Pardini in Kenya”.
Ed è qui che secondo i pm entrerebbe in campo l’accordo corruttivo, poi sancito nella riunione del 23 con la redazione della suddetta nota. Accordo non concretizzatosi perché Pardini è arrestato alcuni giorni dopo, colto in flagrante mentre intasca una tangente da 7.500 euro nei pressi di un noto ristorante di Recco. L’uomo è successivamente condannato a due anni e dieci mesi. Ora lo attende un nuovo processo, insieme a Briatore.
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