Lo stilista giapponese Kenzo è morto di coronavirus

Lo stilista giapponese Kenzo è morto domenica 4 ottobre, presso l’American Hospital di Neuilly-sur-Seine. È deceduto a causa del coronavirus, aveva 81 anni.

Kenzo morto

È morto di coronavirus Kenzo Takada, lo stilista giapponese. Il decesso è avvenuto domenica 4 ottobre presso l’American Hospital di Neuilly-sur-Seine, lo ha annunciato un portavoce in una nota. Kenzo è stato il prima stilista a trasferirsi nella capitale francese e a raggiungere presto la fama a livello internazionale. Ironico ed eclettico rimangono memorabili le sue sfilate nel 1978 e nel 1979 che si concludevano con l’entrata in scena finale in groppa ad un elefante, sfilate che si svolgevano all’interno di un tendone da circo. Kenzo era il maestro del Flower Pover, i suoi stampati a tema floreale sono passati alla storia, come anche il suo profumo, chiamato appunto: Flower.

Kenzo, innovativo ed eclettico

Kenzo nasce nel 1939 nella prefettura giapponese di Hyogo, quinto di sette figli. Si diploma presso la scuola di moda Bunka Gajuen a Tokyo, che all’epoca aveva appena aperto agli uomini. Si trasferisce quindi nella Ville Lumiere che rimane letteralmente stregata dall’arte dello stilista, ed entra a far parte di un elenco di nomi come Dior, Chanel e Pierre Cardin. Nella sua ultima sfilata parigina sono rimasti particolarmente impressi dei cappelli-zanzariera, che sembravano un presagio di quello che sarebbe poi accaduto con l’epidemia di coronavirus, un richiamo a proteggersi dal virus anche con l’abbigliamento.

Kenzo morto di covid


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«Non ho mai iniziato una collezione con così tante domande di fronte a me – scriveva lo stilista nel descrivere le sensazioni che lo avevano ispirato, mentre Kenzo Takada lottava con la malattia in ospedale – e così tanti sentimenti contrastanti su presente e futuro. Sicuramente nessuno si può aspettare risposte lineari alla situazione attuale. Il mondo è perso e tutti devono provare a ritrovarvi una sorta di senso (e possibile ordine). Come si può definire e cercare di dare risposte a una realtà che nessuno comprende o capisce appieno? Come si possono trarre conclusioni da una situazione ben lontana dal terminare e le cui conseguenze sono impossibili da prevedere? Il mondo è malato, il mondo sta sanguinando, ma è ancora vivo. E finché c’è vita c’è speranza. Una risposta ottimistica deve venire con un certo grado di pragmatismo. Dunque, come procediamo da questo punto? Come voltiamo pagina? Come possiamo aiutare la gente? Farla sognare? Darle speranza e allo stesso tempo alleggerirle la vita».

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