Il debito pubblico, alla fine dell’anno, toccherà la quota record del 158%. Entro la fine del decennio, stando a quanto ha dichiarato il ministro Gualtieri, arriverà sotto il 130%.
Il debito pubblico è salito a livelli altissimi nel corso di quest’anno. Una situazione inevitabile, a causa dell’innesto delle misure di emergenza, necessarie per fronteggiare la crisi economica post-Covid. A farlo capire è il ministro dell’economia Roberto Gualtieri, il quale ha analizzato alcuni dati che al momento risultano allarmanti. Come la percentuale record del 158% sulla quale si attesterà il debito pubblico nazionale a fine 2020 rispetto al Prodotto interno lordo. In particolare, pesa il fatto che da marzo ad agosto il Governo si è fatto carico di manovre di emergenza per 100 miliardi di euro.
A questo si aggiunga anche il crollo del Pil, un’altra conseguenza nefasta dell’emergenza sanitaria, sceso di nove punti percentuali in un anno. In ogni caso, Gualtieri ha fatto capire che il dato relativo al debito pubblico scenderà in maniera graduale ma significativa anno dopo anno. Già alla fine del prossimo anno, infatti, questo dato scenderà di circa tre punti, attestandosi sul 155,6%. Una serie di gradini da affrontare e da sfruttare, fino ad arrivare alla fatidica data del 2030. Alla fine di quest’anno, infatti, il debito pubblico scenderà sotto la soglia del 130%.
L’obiettivo all’inizio dell’anno era quello di vedere il debito pubblico intorno al 135%. Ma poi è arrivata l’emergenza Covid, con tutti i suoi annessi e connessi, a gravare sulle casse dello Stato. Nel frattempo, oltre alla discesa del debito pubblico, nei prossimi anni si assisterà a una crescita del Pil. Il segno negativo si attesterà sui sei punti percentuali il prossimo anno, per poi arrivare al 3,8% nel 2022 e al 2,5% l’anno successivo. Si tratta di obiettivi molto prestigiosi, ma che possono essere raggiunti grazie a una serie di riforme e investimenti da fare a partire dal 2021.
Una serie di operazioni che punteranno forte sulla pioggia di miliardi arrivati dall’Unione Europea per la ripartenza. Ben 209 miliardi ai quali si aggiungono i 27,4 del programma Sure. Il tutto in attesa che venga scongelata la posizione del Governo sul Mes, che porterebbe nelle casse italiane altri 36 miliardi a condizionalità irrisorie. Naturalmente, un piano simile può essere attuato solo con una buona suddivisione dei miliardi ricevuti. E allora ecco che non possono non emergere dei dubbi, anche se la gestione del debito pubblico dovrebbe essere in buone mani.
Anche perchè, come ha sottolineato nei giorni scorsi anche Mario Draghi, la distinzione tra “debito buono e debito cattivo” può essere utile. In questo caso si può parlare di debito buono se consente di risalire la china nei due dati fondamentali, ovvero quello sul debito pubblico e quello sul Pil. Specialmente nel caso in cui gli investimenti dovessero essere fatti in campo come ricerca e istruzione, l’impatto sul Prodotto interno lordo sarebbe positivo. La creazione del debito, in questo caso, sarebbe condotta verso una ricostruzione che darebbe impatto meno negativo sul bilancio del futuro.
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Inoltre, l’attivazione del Fondo Sure consentirebbe all’Italia di risparmiare 5 miliardi e mezzo in spesa per interessi in 15 anni. A questo risparmio si aggiungerebbe quello di 5 miliardi nel caso in cui si facesse ricorso al Mes. Per non parlare della ricezione dei 120 miliardi del Recovery Fund, che a propria volta porterebbero a un risparmio di poco superiore al miliardo in spesa per interessi. Un ulteriore segnale che può rasserenare su un altro fronte, quello relativo al timore per l’aumento dei tassi di interesse. L’economia italiana potrà dunque ripartire, dopo un 2020 nero.
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