Irina Slavina si è tolta la vita - meteoweek.com
Irina Slavina, giornalista che dirige la testata Koza.Press, è morta dopo essersi data alle fiamme. Nel suo ultimo messaggio su Facebook ha dato la colpa a Vladimir Putin. Si indaga sul suo gesto.
Un autentico suicidio che trova al suo interno motivazioni di carattere politico. È quello che ha messo in atto Irina Slavina, giornalista russa che si è tolta la vita dandosi fuoco nella giornata di ieri. L’episodio è a dir poco incredibile ed è avvenuto davanti al commissariato di polizia di Nizhny Novgorod, una delle città più grandi della Russia. La giornalista, che è anche direttrice della testata Koza.Press, si è cosparsa di liquido infiammabile prima di far partire l’incendio. E nonostante il tentativo di alcuni passanti di spegnere le fiamme, non c’è stato niente da fare.
La vicenda che vede come protagonista Irina Slavina merita un’indagine approfondita. La reporter era in prima linea nel corso di una campagna ambientalista nella sua città. E proprio la sua attività particolarmente movimentata aveva fatto sì che la polizia decidesse di perquisire la sua abitazione. Una situazione che la giornalista non aveva affatto gradito, tanto da dare vita a questo insano gesto. Anche se, stando a quanto si può leggere sui suoi canali social, l’idea del suicidio come gesto forte da tramandare ai posteri era già stato ipotizzato.
In uno dei suoi ultimi post, infatti, la Slavina aveva fatto sapere che stava pensando di togliersi la vita. “Per piacere, date la colpa della mia morte alla Federazione Russa. Quindi allo Stato. Quindi a Vladimir Putin. Perché quando si arriva a “L’État, c’est moi!” (“Lo Stato sono io”, ndr), poi dove si cade si cade“. Dunque un gesto di certo non estemporaneo, che la giornalista ha messo in atto il giorno dopo la perquisizione della sua casa. Tra le altre cose, Irina Slavina era stata accusata di essere molto vicina a Mikhail Khodorkovsky, ex oligarca che ora si oppone fortemente al governo russo.
Poche ore prima del suicidio, la testata The Insider aveva raccolto alcuni pensieri della giornalista suicida. Irina aveva parlato della perquisizione, durante la quale gli agenti le avevano chiesto di fornire volontariamente i volantini e gli opuscoli di Open Russia. “È chiaro che non potevo in alcun modo aiutarli dato che non ho nulla a che fare con Open Russia“, aveva dichiarato la Slavina. Anche perchè era stata lei in prima persona a denunciare le attività tutt’altro che regolari, promosse proprio dall’organizzazione fondata dall’ex oligarca.
“Si sostiene che Open Russia – aveva dichiarato Irina Slavina – finanzi le proteste a Nizhny Novgorod contro lo sviluppo predatorio e peggiorativo di una delle aree verdi più iconiche della città, il parco Svizzero. Si afferma che Open Russia finanzi queste proteste di massa, mentre la gente scende in piazza del tutto volontariamente e ogni martedì si trova in una ‘catena umana’ vicino al parco. Come giornalista, non posso ignorare questi eventi e ne ho scritto“. Poi, a un certo punto, la giornalista e la sua famiglia si erano ritrovati senza computer e cellulari.
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È stato probabilmente quello il momento in cui Irina Slavina ha maturato l’idea di togliersi la vita. Ma l’episodio che riguarda la giornalista non è l’unico che ha fatto alzare la bufera nella comunità di Nizhny Novgorod. La sezione locale del partito socialdemocratico Yabloko ha fatto sapere che sono stati perquisiti gli uffici di Alexey Sadomovsky. Si tratta del vicepresidente locale del partito, perquisito insieme ad altri tre attivisti del movimento. Si tratta, secondo gli esponenti del partito, di una vera caccia per sedare le proteste.
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