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Cronaca

Gli amici del bimbo suicida a Napoli: Anche noi avremmo seguito l’uomo nero

Emergono nuovi elementi sulla morte del bambino di undici anni che, a Napoli, si è gettato nel vuoto dal balcone di casa. Prima di morire il messaggio per i suoi: “Vi amo, ho un uomo incappucciato davanti, non ho tempo”. Ora la madre di uno dei compagni: “Sembrerebbe che anche altri bambini e ragazzi più grandi avessero già sentito parlare di quell’uomo nero con la faccia di Pippo”.

Continua l’inchiesta sulla morte del bambino di undici anni di Napoli che lo scorso 30 settembre si sarebbe gettato nel vuoto dall’ottavo piano del suo palazzo. Aveva cambiato da poco la password di tablet e cellulare e, prima di compiere il gesto, ha lasciato un perturbante messaggio ai genitori, spedito con il proprio telefonino alla madre: un saluto estremo che sembrerebbe incalzato dall’ansia di qualcosa, piuttosto che dalla voglia di morire. Il messaggio cita: “Vi amo, ho un uomo incappucciato davanti, non ho tempo“. La Procura di Napoli avrebbe aperto un’indagine su possibili minacce provenienti dal web. All’interno di questo quadro sarebbe allora saltato fuori il nome del gioco Jonathan Galindo. Si attende ora di comprendere se e quale ruolo abbia avuto nella vicenda. L’ipotesi di reato sulla quale si muovono gli inquirenti è di istigazione al suicidio. Si muovono su questa pista anche i legali nominati dalla famiglia del piccolo, i penalistiLucilla Longone e Maurizio Sica, che hanno a loro volta nominato un consulente informatico di parte.

Chi è Jonathan Galindo?

(Foto di Marvin Recinos, da Getty Images)

Innanzitutto è necessario specificare: la maschera utilizzata da Jonathan Galindo non è nata per il gioco accusato di istigazione al suicidio. La maschera, risalente al 2012, rappresenterebbe una sorta di Pippo deformato in un ghigno orrifico. E’ stata creata dal produttore di effetti speciali cinematografici Samuel Canini, per tutt’altro scopo. Il primo account di Jonathan Galindo risalirebbe invece al 2017, e sarebbe legato a una larga diffusione di nuove sfide social soprattutto in Messico, India, Vietnam, Brasile… Da lì, la notorietà, che nel corso del tempo sarebbe strisciata fino agli Usa e all’Italia. In questo modo il fenomeno avrebbe dato origine a tanti account Jonathan Galindo, con tante persone diverse dietro lo schermo. La dinamica, di solito, è sempre la stessa: chi si cela dietro l’account individua vittime, adolescenti tra gli 11 e 13 anni, le contatta sui social, soprattutto su Instagram, TikTok e Facebook. Poi dall’account invierebbe un link per dare inizio al gioco, un escalation di sfide di coraggio che giunge a veri e propri atti autolesionistici, anche estremi.


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Per questo la procura di Napoli sta cercando di ascoltare il gruppo di amici dell’undicenne. Intanto sul Messaggero arriva anche la testimonianza di una madre di uno di loro: “Mio figlio era un compagno di classe del bimbo che si è lanciato dal balcone. E sembrerebbe che anche altri bambini e ragazzi più grandi avessero già sentito parlare di quell’uomo nero con la faccia di Pippo perché almeno altri due adolescenti, dello stesso ambiente, erano stati contattati sui social network da tal Jonathan Galindo, il profilo fake associato al personaggio della Disney. Prima della tragedia, certo”. La donna è una psicologa e specifica: “E’ sbagliato parlare di suicidio… Il bambino era semplicemente in fuga da un pericolo…”. Un pericolo già noto tra gli adolescenti napoletani: “Il primo episodio che mi è stato riferito risalirebbe al periodo del lockdown: una ragazzina, 14 anni da compiere, è stata contattata su Instagram”. Il primo aggancio è stato: “So dove abiti”. La ragazza avrebbe allora chiesto all’interlocutore di specificare via e civico, nessuna risposta, fine della conversazione. Il fenomeno, stando a quanto sostenuto dalla donna, sarebbe allora molto più diffuso di quanto i genitori siano disposti ad ammettere per “timore di essere tacciati come ‘inadeguati’. Per non aver vietato i social o controllato abbastanza. Ma una madre e un padre non possono fare più di tanto. Più di quello che in questo caso hanno fatto”. Poi la testimonianza personale: “Tanti suoi amichetti prima di vivere tutto questo mi hanno detto che avrebbero fatto lo stesso. Sarebbero scappati anche loro, spingendosi giù…”. E infine: “Io controllo lo smartphone di mia figlia, ho la sua password, perché a questa età la privacy non può esistere. Lo faccio davanti a lei. Ma internet è una porta di casa, purtroppo aperta, la sera: può entrare chiunque”.

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