Lo spoglio dei dati sul referendum rende noto questo trend. Nei quartieri più ricchi di città come Milano, Roma, Firenze e Bologna ha prevalso la volontà di non modificare l’assetto del Parlamento.
Alla fine, hanno avuto meglio il Movimento 5 Stelle e i seguaci nel segno del cambiamento. Il referendum costituzionale di domenica e lunedì scorsi ha visto una netta vittoria del Sì, che ha ottenuto il 70% delle preferenze. E così, a partire dalla prossima legislatura si assisterà al tanto discusso taglio del numero dei parlamentari. Tuttavia, dallo spoglio dei voti nei singoli seggi emergono dei dati a dir poco particolari. Soprattutto per quello che viene definito “fattore Ztl“. Stiamo parlando di quell’effetto dato dallo scollamento tra le periferie e il centro delle città italiane.
Questo fattore è tornato a rivelarsi proprio durante il referendum di alcuni giorni fa. Proprio così, perchè la preferenza di chi vive nei centri cittadini – e dunque nelle zone più ricche – è stata diametralmente opposta a quella espressa fuori dalle parti più trafficate. E così, in metropoli come Milano, Roma, Firenze e Bologna si è notato questo trend, così diviso: nei quartieri più ricchi si è votato No al referendum, mentre nelle periferie e nelle province ha prevalso il Sì. Il voto delle cerchie più elitarie delle città italiane, però, non è bastato a evitare il taglio dei parlamentari.
Andando nel dettaglio, come svelato sa Il Sole 24 Ore, si parte da Roma e dai primi due municipi. In entrambi i casi c’è stato un voto contrario alla ricomposizione del Parlamento, ben al di sopra del 55%. Cifre più o meno simili a Milano, dove il No emerge soprattutto nella zona che comprende Piazza Duomo e il quartiere Brera con il 56,5%. Lo stesso scenario si è visto sia a Firenze che a Bologna, altre città in cui è quartieri più ricchi si sono esposti in maniera favorevole al mantenimento dell’attuale composizione di Montecitorio.
La stessa cosa ha avuto luogo anche a Napoli, una delle roccaforti del Sì al referendum. Tuttavia, in zone della città partenopea come Posillipo Chiaia e Vomero Arenella, il No ha ottenuto ben il 65% dei consensi. Una chiave di lettura, quella della contrapposizione tra centri storici e periferie, che si era già vista. Già nelle ultime elezioni, sia quelle del 2018 che in occasione della tornata elettorale di un anno fa, il dualismo era chiaro. Da una parte i centri urbani erano schierati per il centro-sinistra, dall’altra c’erano periferie e province, attratti prima dal Movimento 5 Stelle e poi dalla Lega.
Questa chiave di lettura ha fatto emergere ancora una volta l’incapacità, da parte delle forze progressiste, di far presa sul ceto più elitario. Si tratta di una parte della popolazione ormai ingabbiata nelle sue nicchie particolarmente agiate, che dunque sembrano apprezzare particolarmente lo status quo. In particolare, questo fenomeno si è visto a Roma, città governata dal Movimento 5 Stelle ma che continua a mostrare sostegno al Pd nelle sue zone più centrali. Anche se, a differenza delle elezioni degli anni passati, sul fronte del referendum la lettura è meno immediata.
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A provare a spiegarlo è Sofia Ventura, politologa dell’Università di Bologna. La studiosa spiega che “votare no richiedeva una riflessione più strutturata rispetto all’idea di “mandarli tutti a casa”, fattore trainante dietro a molti voti per il sì“. Ecco dunque che si apre un altro scenario, più legato a fattori informativi che a quelli socio-economici. Marco Revelli, ordinario di Scienze Politiche in Piemonte, è ben più chiaro: “Il no è stato espressione di un ceto medio riflessivo meno abituato a reazioni di pancia dell’elettorato più capace di valutare le conseguenze. Nel complesso, il combinato disposto fra il pareggio delle regionali e il sì al referendum ha consolidato il governo e diminuito proprio quella sindrome di accerchiamento del centrosinistra nelle città“.
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