Processo dei Casalesi: anche le autorità si rivolgevano al boss

Il processo dei Casalei sta rivelando dettagli impressionanti: agli atti la testimonianza che racconta dei contatti con i carabinieri.

Processo dei Casalei: anche le autorità si rivolgevano al boss
Processo dei Casalesi: anche le autorità si rivolgevano al boss – meteoweek

C’è silenzio in aula, c’è ansia, c’ tensione. Al processo dei Casalei ad Eraclea viene fuori una verità che tutti sapevano: bastava rivolgersi a Luciano Donadio per risolvere problemi, lo sostengono più o meno tutti i teste dell’accusa finora ascoltati nel maxiprocesso in aula bunker a Mestre. Ma che anche i carabinieri di Eraclea, in passato, si fossero rivolti a Donadio per chiedergli una mano, è stata la novità fatta mettere agli atti dall’ex braccio destro di Donadio, Christian Sgnaolin, ora pentito. E’ sua la volontà di colpire Roberto Terzo e Federica Baccaglini.

L’ex vicesindaco Teso è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per la Procura è l’uomo che avrebbe garantito la copertura amministrativa degli affari di Luciano Donadio e del suo clan ma al centro di tutto c’è il boss che amministrava e “amminestrava” tutto quanto.

«Donadio aveva diverse conoscenze con i carabinieri locali di Eraclea – ha detto Sgnaolin – andavano loro a chiedere a lui di sistemare delle cose soprattutto con spacciatori o gente che faceva casino». Secondo il pentito, i carabinieri «chiedevano (a Donadio, ndr) se poteva intervenire. E poi posso garantire che poco dopo gli spacciatori erano spariti, soprattutto i marocchini».

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Processo casalesi: una nuova verità

Tutti si rivolgevano a lui: «Avere la protezione di Donadio voleva dire che nessuno toccava quelle persone: poteva difenderle con la forza», ha detto Sgnaolin. Secondo l’accusa questo aspetto aveva avuto un’influenza anche sulle elezioni. : «Tutti i contatti tra Donadio e Mestre – ha risposto l’ex braccio destro del boss – sono stati fatti telefonicamente sul numero personale di Mestre».

Il processo prosegue dunque carico di colpi di scena: l’udienza di ieri si è aperta con le spontanee dichiarazioni di Giorgio Di Giacomo, 68enne di Musile di Piave, che si era intestato le quote di due società per poi nascondere le proprietà dei beni dell’associazione mafiosa. Ha detto che alcuni giorni prima era stato contattato da Girolamo Arena per vedersi prima dell’udienza e parlarne. Non è mai accaduto.

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