Qual è quel bello, quella straordinarietà a cui rischiamo di chiudere il cuore se non è semplice e umile? La parola di Gesù, la Sapienza sono riconosciute dai suoi figli, chi invece giudica farà più fatica
Ss. Cornelio e Cipriano; S. Eufemia; S. Ludmilla
24.a del Tempo Ordinario
Beato il popolo scelto dal Signore
1Cor 12,31-13,13; Sal 32; Lc 7,31-35
Rimangono la fede, la speranza, la carità; ma la più grande di tutte è la carità.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1Cor 12,31- 13,13
Fratelli, desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!
Parola di Dio.
R. Beato il popolo scelto dal Signore.
Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a lui cantate.
Cantate al Signore un canto nuovo,
con arte suonate la cetra e acclamate. R.
Perché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto,
dell’amore del Signore è piena la terra. R.
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che si è scelto come sua eredità.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo. R.
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.
+ Dal Vangelo secondo Luca 7,31-35
In quel tempo, il Signore disse: “A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”. È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”. Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli”.
Parola del Signore.
“La Sapienza è stata riconosciuta giusta dai suoi figli”: questa frase è molto bella e forte allo stesso tempo. La Sapienza, che è Gesù e il suo Vangelo, sono state riconosciute giuste dagli stessi figli della sapienza. Chi sono questi figli? Sono i semplici. Coloro che hanno un cuore semplice che accolga il messaggio di Gesù come Sapienza, senza dover trovare il cavillo in ogni evidenza positiva. Al tempo, molte delle persone che venivano a contatto con Gesù e la sua dottrina, con i suoi miracoli e gli eventi straordinari, si chiudevano in un giudizio serrato.
La straordinarietà o spalanca o chiude il cuore. Chiude di fronte al bene quanto al male, come chi, davanti a un canto o un lamento (cui fa riferimento la parabola), rimane impassibile. Si tratta dell’indifferenza, del fatto che quando non si è protagonisti di una scena, poco importa. Di quell’insensibilità che porta fare tanto del male, perché quando ci si chiude nel proprio guscio ci si estranea dal mondo esterno, si perde la cognizione di ciò che è veramente bene e da ciò che è male, restando come annichiliti interiormente, come i sepolcri imbiancati descritti da Gesù.
L’ipocrita è forse colui che non soffre, colui che si è chiuso dentro a un sepolcro di insensibilità, cosicché non è più in grado di sentire nel suo profondo cosa sia bene o male, per sé e per gli altri.
L’antidoto potrebbe essere uscire fuori da sé stessi senza paura, e accogliere quel barlume di luce che rimane sempre, in fondo al cuore e nella nostra vita, che è Gesù e la sua Parola, che è la Sapienza del vivere, della nostra vita e di quella della nostra anima.
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