Smart Working, riguarderà oltre 4 milioni di italiani: servono nuove regole

Il 15 ottobre scade il meccanismo semplificato: saranno milioni i lavoratori che proseguiranno a lavorare “da remoto”. Il governo deve stabilizzarne il più possibile: possibilmente per mezzo di intese nazionali o aziendali.

Lo smart working è al momento regolato – tra le altre – dalla legge 81 del 2017 che ha introdotto il meccanismo esclusivo dell’accordo individuale scritto tra l’azienda e il singolo lavoratore. E’ su questa norma che il governo vuole intervenire: deve essere inevitabilmente la contrattazione collettiva a disciplinare il lavoro agile, con un ruolo più marcato da affidare ai contratti nazionali o aziendale. Sono troppi gli aspetti che devono essere definiti a fronte di un numero di lavoratori “da remoto” aumentati esponenzialmente dopo il lockdown.  Il diritto alla disconnessione, conciliazione vita-lavoro, diritti delle lavoratrici su cui gravano già i carichi di cura dei familiari, erogazione dei buoni pasto: questi sono i temi, tutti da definire e da adattare alle nuove esigenze. La ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, il 24 settembre ha convocato al dicastero di Via Veneto i sindacati (la mattina) e le associazioni datoriali (il pomeriggio) ad un tavolo sul lavoro agile, con l’intento di modificare l’impostazione della legge Del Conte varata appena tre anni fa, innovando radicalmente rispetto al telelavoro. Fino al 2019 l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, che si dedica a questa modalità lavorativa fin dal 2012) «contava 570mila lavoratori agili, soprattutto nel settore privato – sottolinea la direttrice, Fiorella Crespi -. Quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria, lo smart working ha interessato potenzialmente tra i 6 e gli 8 milioni di lavoratori, comprese Pmi e settore pubblico, in moltissimi casi anche per 5 giorni a settimana». Al termine del regime semplificato del 15 ottobre, questo almeno prevede il governo, potrebbero rimanere in modalità agile – anche in forma impropria – comprendendo, ad esempio, pure autonomi e professionisti – tra i 4 ed i 5 milioni di lavoratori, che magari alterneranno due o tre giorni a settimana in presenza, e i restanti “da remoto”. Il ministero del Lavoro, durante il lockdown, ha parlato di 1,8 milioni di lavoratori agili, nel privato, in base alle comunicazioni ricevute (si tratta, quindi, di dati parziali); e oggi resterebbero in questa modalità circa il 50 per cento.

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Il ministro del lavoro Nunzia Catalfo

Visti i numeri di cui si sta discutendo, e sopratutto l’applicazione che lo strumento “smart working” ha avuto negli scorsi mesi, il ministro Catalfo ha deciso di rivedere la disciplina. Tra le ipotesi allo studio c’è anche quella di fissare a livello di contratto nazionale delle quote percentuali di ricorso allo smart working, in linea con quanto fatto, con apposite direttive, dal ministro della Pa, Fabiana Dadone, indicando come obiettivo di avere quest’anno il 50% del personale coinvolto nel lavoro da remoto e nel 2021 si punta al 60% (previa elaborazione da parte di ogni amministrazione del Piano organizzativo del lavoro agile, il cosiddetto Pola). In un recente seminario organizzato dal M5S, il ministro Catalfo ha ricordato che il lavoro agile «nella pubblica amministrazione è stato molto utilizzato: al ministero del Lavoro più dell’80% di lavoratori sono stati messi in smart working». Queste novità dovrebbero arrivare al traguardo dopo la scadenza del 15 ottobre, quando in corrispondenza con la fine dello stato d’emergenza, terminerà l’attuale meccanismo semplificato che consente al datore di lavoro di ricorrere allo smart working con una decisione unilaterale. In assenza, perciò, di un intervento del ministro, dal 16 ottobre i datori di lavoro dovranno ripristinare il meccanismo della legge 81, e dunque stipulare accordi individuali con i singoli lavoratori coinvolti nello smart working. A meno che il ministro Catalfo non intervenga con un decreto legge con vigenza dal 16 ottobre, che modifichi il quadro normativo. Soprattutto i grandi gruppi più strutturati si sono già organizzati ed hanno raggiunto accordi a livello di contrattazione aziendale con i sindacati per disciplinare il ricorso al lavoro agile.

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