Sergio Abrignani, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano, fa il punto sul vaccino anti-Covid. “Sarà proposto in Italia solo alle categorie più esposte o a rischio di morte”.
Si torna a parlare della possibilità di avere a disposizione in tempi brevi il vaccino contro il Covid-19. Soprattutto in giro per il mondo, dove la situazione resta un po’ più critica, è in atto una vera e propria corsa contro il tempo. A differenza dell’Italia, in cui si registrano centinaia di nuovi casi ogni giorno, ma si parla pur sempre di casi asintomatici dall’età media molto bassa. E soprattutto, visto il fatto che il numero di decessi e di ricoveri è sempre molto basso. Per questo motivo, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, c’è meno fretta per sviluppo e diffusione del vaccino.
Almeno in questo senso vanno lette le dichiarazioni rilasciate da Sergio Abrignani. Il docente ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano è stato chiamato in causa dai colleghi del Corriere della Sera. Abrignani ha fatto capire che accelerare i tempi potrebbe essere necessario per fornire un vaccino alle nazioni più in crisi: “In un contesto di emergenza, quale la pandemia di Sars-CoV-2, è auspicabile tentare di percorrere qualunque strada“, ha dichiarato il docente, che è anche direttore dell’Istituto di genetica molecolare Romeo ed Enrica Invernizzi.
Tuttavia, a proposito dell’Italia, Abrignani fa capire che questa fretta, almeno per il momento, non c’è. È proprio la situazione attuale della diffusione del Covid, infatti, a non far scattare alcun campanello di allarme nel nostro Paese. “Attualmente in Italia – svela in tal senso il docente – siamo in una fase molto meno drammatica rispetto a quanto accadeva nei mesi di marzo e aprile. Per questo i primi vaccini disponibili saranno proposti, in via eccezionale, solo alle categorie più esposte o a rischio di morte“. Dunque l’Italia è una delle nazioni che ha “meno bisogno” del vaccino.
Più in generale, come svela Abrignani, sono otto gli studi (su 176 in tutto il mondo) ad aver raggiunto la fase 3 dello sviluppo del vaccino. Tre di questi – AstraZeneca, CanSino e Gamaleya – hanno basato il loro lavoro su vettori virali. Altri tre, tutti cinesi, basano lo sviluppo del vaccino su virus inattivati, mentre gli ultimi due (Moderna e BioNTech/Pfizer) hanno lavorato sui valori dell’Rna. Il docente spiega che “la fase 3 può durare da 6 mesi a diversi anni e consiste nel somministrare il vaccino a 30-40mila persone, che vengono poi confrontate con un gruppo di controllo non vaccinato“.
E quando gli viene chiesto se la fase 3 potrà concludersi entro la fine del 2020, Abrignani non si sbilancia. Anche perchè bisognerà rilasciare un prodotto che sia efficace al 100% senza correre troppi rischi. “Probabilmente ci saranno dati preliminari di efficacia e sicurezza, che mostrano la prevenzione della malattia in giovani e adulti sani. Informazioni che serviranno a valutare il rapporto fra il rischio di infezioni gravi e il beneficio di un vaccino ancora non definitivamente promosso“. E dunque si fa largo un’ipotesi, ovvero la somministrazione a piccoli gruppi, in primis gli operatori sanitari.
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Abrignani svela anche qual è stata la strategia messa in atto, di comune accordo con i Governi nazionali, dalle case farmaceutiche. Proprio per poter sviluppare un vaccino all’altezza della situazione: “Le aziende farmaceutiche hanno cominciato, con fondi di tutti i Governi, a produrre i vaccini già durante gli studi clinici, per essere pronti appena dopo l’ottenimento dei primi risultati“. E poi l’ultima indicazione, legata al fatto che la vaccinazione partirà, con ogni probabilità, solo dopo aver ottenuto dati solidi su numeri più estesi.
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