“Sei telefoni e nessuno ha chiamato i soccorsi”: determinata e coraggiosa Marina non si ferma. Vuole giustizia per quel suo figlio che le hanno strappato via la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 in una Villetta di Ladispoli, a Via Alcide De Gasperi.
Alle 23.00 Marco chiama i genitori, per avvisare che sarebbe rimasto a dormire dalla fidanzata, Martina. In casa, quella sera c’erano, oltre alla ragazza, i genitori di lei, Antonio Cintoli e Maria Pezzillo, il fratello Federico e la sua fidanzata Viola Giorgini. Poco dopo le 23.00, il proiettile di una pistola Beretta calibro 9, appartenente al padre della fidanzata lo colpisce a un braccio, penetrando nella gabbia toracica, forandogli un polmone e raggiungendo il cuore. Qualcuno prova a chiamare i soccorsi ma viene bloccato. L’ambulanza arriverà ore dopo sulla scorta di un’altra chiamata.
Solamente verso l’una di notte, ai medici viene detto che Marco è stato ferito da un colpo di pistola. Ma ormai è troppo tardi e alle 3.10 della notte, il ragazzo muore, quattro ore dopo essere stato colpito. Quello che accadde, il perché si aspettò così tanto rimarrà per sempre avvolto nel mistero. “La verità non la sapremo mai, l’unico che poteva raccontarla era Marco” sostengono mamma Marina e papà Valerio.
Secondo le sentenze, però, a sparare sarebbe stato Antonio Ciontoli, padre di Martina, che a Storie Maledette ha detto: “Marco mi ha chiesto di vedere una pistola ed è partito il proiettile. È stato un movimento unico che è durato meno di un secondo, ho caricato e premuto istintivamente il grilletto per fargli vedere come funzionava. Nei primi secondi mi si è cancellato il cervello non ho capito nulla”.
L’8 luglio 2020, si è aperto il nuovo processo d’Appello, che vede sul banco degli imputati tutta la famiglia Ciontoli. Durante l’udienza ha preso la parola Federico, che ha letto una dichiarazione spontanea: “La prima cosa che mi è interessata quella sera è che qualcuno che sapesse cosa fare potesse intervenire visto che, anche se mio padre diceva di poterci pensare lui, a me dopo un po’ non sembrò così- ha detto il ragazzo- Mio padre diceva che Marco si era spaventato per uno scherzo, e io gli credetti perché non c’era nessuna ragione per non farlo”. L’uomo, infatti, “si comportava proprio come se stesse gestendo uno spavento, ossia alzando le gambe e rassicurando. Il tipo di scherzo che aveva causato lo spavento in quel momento non era una preoccupazione per me”. Domani, 9 settembre, è attesa la ricostruzione della fidanzata, in qualità di testimone dei fatti, Viola Giorgini.