Sguardo in camera, piglio deciso, papà Valerio non ha dubbi: “È balisticamente impossibile che Antonio Ciontoli abbia esploso il colpo nel modo in cui racconta”. Per lui, Marco, non è così che è morto e lo spiega molto semplicemente: “Secondo i referti balistici e secondo la struttura del bagno, per essere andata in quel modo, il Ciontoli avrebbe dovuto chiudere la porta, mettersi addosso al muro e sparare”, “Il colpo non può essere stato casuale” (video in chiusura articolo). Mercoledì 9 aprile alle 9:00 riprenderà il processo a carico del capofamiglia di Ladispoli. In aula si ascolterà la testimonianza di Viola Giorgini, fidanzata di Federico Ciontoli, durante il processo di appello bis per la morte di Marco Vannini, il 20enne di Cerveteri ucciso da un proiettile la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015.
Le dinamiche degli avvenimenti di quella notte, tra omissioni e silenzi, non sono mai stati del tutto chiarite. Troppe le ombre, troppi i depistaggi. Troppo silenzio.
Marco Vannini: l’ultima sentenza
La prima sezione penale della Cassazione un mese fa si è pronunciata sui ricorsi presentati dalla Procura generale di Roma, dai familiari della vittima, parti civili, e dalla difesa della famiglia Ciontoli, che aveva chiesto una ulteriore riduzione di pena. Si deve ripartire e lo si farà il 9 settembre. Al centro della decisione, la sussistenza o meno del reato di omicidio volontario riconosciuto in primo grado, ma non in appello, dove il sottufficiale della marina militare e padre della fidanzata di Marco, Antonio Ciontoli ha ottenuto una riduzione della pena da 14 a 5 anni. Sia in primo che in secondo grado, invece, erano rimaste immutate le condanne per omicidio colposo a tre anni di reclusione ciascuno per Maria Pezzillo, moglie di Ciontoli, e per i loro figli Federico e Martina.
“Una condotta omissiva – aveva scritto la Corte – fu tenuta da tutti gli imputati nel segmento successivo all’esplosione di un colpo di pistola, ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli, che, dopo il ferimento colposo, rimase inerte, quindi disse il falso ostacolando i soccorsi”. Marco Vannini “rimasto ferito in conseguenza di quello che si è ritenuto un anomalo incidente”, osservava la Suprema Corte, “restò affidato alle cure di Antonio Ciontoli e dei di lui familiari”.
Tutti, si legge nella sentenza, “presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente: si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero una prima volta il numero telefonico di chiamata dei soccorsi”. Questa sequenza di azioni “rende chiaro”, osservano i giudici di piazza Cavour, che “Antonio Ciontoli e i suoi familiari assunsero volontariamente, rispetto a Marco Vannini, rimasto ferito nella loro abitazione, un dovere di protezione e quindi un obbligo di impedire conseguenze dannose per i suoi beni, anzitutto la vita”. Considerazioni importanti, quasi definitive, che non vanno dimenticate, soprattutto domani.