Carl Heneghan, dell’Università di Oxford ha condotto uno studio sul rilevamento del Coronavirus nei tamponi. Quest’ultimo sarebbe così sensibile che potrebbe rilevare anche frammenti di virus morto legato a vecchie infezioni.
In tutti questi mesi potrebbe esserci stata una sovrastima dei casi di Coronavirus in giro per il mondo. Tanto che si potrebbe parlare addirittura di un conteggio “falsato” di tutti i casi di contagio che, da inizio gennaio a questa parte, riguarda ogni parte del pianeta. Questo è il risultato di uno studio condotto dagli scienziati dell’università di Oxford, guidati dal professor Carl Heneghan. Quest’ultimo ha discusso soprattutto sulla bontà del risultato fornito dai tamponi usati per verificare la presenza di Coronavirus nel corpo umano.
I tamponi, infatti, forniscono un risultato con due possibilità, ovvero la positività o la negatività al virus. Secondo Heneghan, invece, i test dovrebbero avere un punto limite in modo che quantità molto piccole di virus non si traducano in una positività. Questo è quanto si legge sulla versione online della Bbc e rappresenta un punto di svolta sull’analisi dei risultati dei test contro il Coronavirus. Qualora ci fossero conferme sull’esito di questi test, infatti, si capirebbe il motivo per cui in Gran Bretagna (e non solo) il numero di casi di contagio aumenta e il numero di persone ricoverate non diminuisce.
Il rilevamento di vecchie tracce di Coronavirus, ormai morte e quindi non in grado di provocare danni, è alla base di questa ricerca. La maggior parte delle persone che contraggono il Covid-19, infatti, resta contagiosa per circa una settimana. Tuttavia, proprio in base al modo in cui funzionano i tamponi, queste persone possono risultare positive anche per diversi test successivi. Si tratta dunque di un caso di eccessiva sensibilità dei tamponi, i quali potrebbero portare dunque a una sovrastima dell’attuale dimensione della pandemia di Coronavirus.
Il Center for Evidence-Based Medicine dell’Università di Oxford ha posto sotto la lente d’ingrandimento i dati provenienti da altri 25 studi diversi. Altrettanti sono stati i campioni di virus provenienti da test risultati positivi. Attraverso il metodo della coltura virale si è scoperto se i test in questione sono risultati effettivamente positivi, in modo che la traccia di virus presente potesse riprodursi o diffondersi. In caso contrario, venivano riscontrati solo frammenti di virus senza vita, che non possono dunque riprodursi nè in laboratorio nè nel corpo umano.
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Carl Heneghan, nel rendere noto il risultato dello studio che ha diretto, ha aggiunto alcuni particolari molto importanti. Secondo il docente, infatti, il tasso di infettività del nuovo Coronavirus diminuisce in maniera sostanziale dopo una settimana da quando ha preso piede nel corpo umano. Tuttavia, non è possibile controllare ogni singolo test per capire se mostra una positività latente oppure tracce di virus morto. Per questo motivo non è assurdo parlare di un buon numero di “falsi positivi”. Secondo il docente di Oxford, però, potrebbe essere possibile ridurre questo numero, anche per evitare quarantene inutili.
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