Il batterio Citrobacter koseri è stato scoperto in alcune parti dei biberon personali dei neonati. Dopo i primi quattro casi, la Regione Veneto ne ha resi noti altri cinque nelle ultime ore.
Il batterio killer colpisce ancora. Arrivano notizie relative a nuovi casi di neonati che hanno contratto il bacillo Citrobacter koseri, in maniera a dir poco incredibile. Questo batterio, infatti, si sarebbe depositato sui rompigetto di alcuni rubinetti e sulle superfici interne ed esterne dei biberon. Il teatro di questa diffusione, finora incontrollata, è il reparto di Terapia intensiva neonatale dell’ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento a Verona. E così, addirittura l’acqua è diventata veicolo di una infezione che ora mette a repentaglio un numero sempre maggiore di neonati.
Dopo l’ultimo aggiornamento, arrivato nelle scorse ore, gli infetti sono diventati nove. Dopo i primi quattro, resi noti nei giorni scorsi dall’ospedale di Verona e tutti morti, ecco che altri cinque infanti sono diventati vittime del batterio killer. Ancora una volta è l’ospedale scaligero a finire nel mirino, visto che sia i rubinetti che i biberon messi a disposizione dei neonati riguardano la struttura ospedaliera veronese. Nel giro di due anni, i bambini colpiti dal batterio Citrobacter koseri sono ben 96. Un numero clamoroso e che forse ora potrebbe essere bloccato.
Tra questi, sono quattro i neonati che sono morti, ovvero quelli che abbiamo annoverato poco sopra. I cinque nuovi casi, invece, hanno riportato danni permanenti al cervello. È emblematico in questo senso il caso di una donna, Francesca Frezza, la quale si è resa conto che qualcosa non stesse andando per il verso giusto. Per questo motivo ha preso la sua bambina, la piccola Nina, l’ha fatta dimettere dall’ospedale di Verona per trasferirla presso il “Gaslini” di Genova. Tuttavia, la ricerca di una cura risolutiva non è servita a far restare in vita la neonata.
La vita della piccola Nina è durata appena sei mesi, essendo nata l’11 aprile 2019 e dichiarata deceduta il 18 novembre. In un primo momento Francesca aveva deciso di sporgere denuncia alla procura di Genova, salvo poi scoprire l’amara verità. Nina era morta a causa di un’infezione nosocomiale da Citrobacter koseri, ovvero il batterio diffuso all’interno dell’ospedale di Verona. Così la mamma ha deciso di rivolgersi alla procura della città veneta. Il fascicolo resta aperto a carico di ignoti, ma la voglia di scoprire la verità resta forte.
E il governatore del Veneto Luca Zaia ha fatto capire di essere pronto a fare di tutto affinchè tutto venga risolto. “Ho dato disposizione – dichiara il rappresentante della Lega – al segretario regionale della Sanità Mantoan perché venga inoltrato alla Procura e resa disponibile per l’Azienza Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e per i familiari dei bambini colpiti dal batterio, in modo che possano conoscere gli esiti sin da subito“. Dunque anche la classe politica e il governo locale hanno deciso di schierarsi dalla parte dei genitori dei neonati colpiti dal batterio killer.
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Nella relazione si legge che “il primo evento si è manifestato nel novembre 2018. Nel corso del 2019 non vi sono state effettuate segnalazioni che abbiano permesso l’identificazione del problema“. Il legale di Francesca Frezza, dal suo canto, fa capire che “gli attori di questa triste vicenda sono ancora al loro posto, tutti negavano l’evidenza”. A questo si aggiunga un’altra cosa molto grave: “Le analisi molecolari, effettuate su campioni prelevati da alcuni pazienti positivi per Citrobacter koseri, hanno rilevato la presenza di un cluster epidemico. Esiste l’evidenza di una mancanza di comunicazione alla Regione Veneto. Nessun episodio è stato considerato meritevole di essere segnalato come evento sentinella“.
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