Il dato arriva da uno di due studi italiani pubblicati sul “Journal of Infection”. Nel corso di questo periodo, la carica infettiva del Covid può subire importanti oscillazioni.
I bambini e i ragazzi affetti da Covid-19 rischiano di risultare positivi al tampone anche per due mesi. Nella peggiore delle ipotesi, la loro positività al test potrebbe essere ancor più duraturo. E in questo frangente, la carica virale del Coronavirus può oscillare in maniera importante. Si può parlare sia di un perdurare della positività con picchi alti e bassi di contagio, ma anche di casi di negatività che possono tornare alla positività. Questo è quanto è emerso da due studi italiani, i cui esiti sono stati pubblicati nell’ultimo numero del “Journal of Infection“.
In questo studio si parla dei “pazienti costretti a un lungo isolamento anche se non sono più infettivi“. In particolare, viene messa in risalto “l’importanza della determinazione delle cariche virali nei pazienti positivi a Covid-19“. A essa si aggiunge la necessità, per i laboratori di analisi, di fornire questo genere di esiti in maniera corretta. Lo studio è stato condotto su trenta tra bambini e ragazzi, risultati positivi al Coronavirus. A condurlo sono stati Enzo Grossi e Vittorio Terruzzi, rispettivamente direttore scientifico e direttore sanitario di Villa Santa Maria, Centro multiservizi di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza con sede a Tavernerio, in provincia di Como.
Stando a quanto si legge in questo studio, 52 tra bambini e ragazzi sono stati testati per il Covid tra il 27 aprile e il 4 luglio scorsi. 30 di loro sono risultati positivi, alcuni con sintomi e altri totalmente asintomatici. Come ci si poteva aspettare, dai tamponi si emerge che chi ha sintomi di Coronavirus ha una carica virale più elevata rispetto agli asintomatici. Inoltre, i 25 maschi che hanno contratto il Covid hanno dimostrato di avere una carica virale più alta rispetto alle 5 femmine positive. Inoltre, questi ultimi casi hanno saputo eliminare il virus in maniera più lenta.
Grossi e Terruzzi hanno scritto delle importanti conclusioni, al termine dello studio da loro diretto. Secondo loro, l’aspetto più sorprendente è rappresentato dal fatto che “i livelli di carica virale possano oscillare notevolmente nel tempo prima di ridursi sotto il livello che contraddistingue la negatività e che l’intervallo necessario per una scomparsa definitiva del virus dal tampone nasofaringeo può superare due mesi. Addirittura, uno di questi soggetti, il bambino di 9 anni affetto da autismo protagonista del secondo studio, è rimasto positivo per quasi 3 mesi in ragione della carica virale iniziale estremamente alta“.
Un elemento importante è quello dato dalla Pcr, ovvero la Polymerase Chain Reaction. Si tratta di un elemento grazie al quale l’Rna del virus subisce una trasformazione. Viene trascritto a Dna in un primo momento, salvo poi essere amplificato in una serie di cicli. I due direttori dello studio scrivono che “un risultato positivo della Pcr può pertanto non significare necessariamente che la persona sia ancora infettiva o che abbia ancora una malattia significativa, dato che l’Rna potrebbe provenire da un virus non più vitale o ucciso“.
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“Si ritiene che sotto le 10mila copie di Rna, corrispondenti a 34-36 cicli-soglia, non ci sia essenzialmente rischio di contagio“, proseguono Grossi e Terruzzi. Senza informazioni specifiche sulla carica virale, un soggetto positivo al Covid “rischia di essere mantenuto in isolamento per settimane inutilmente“. Di contro, come rivelano gli autori di questo studio, “un soggetto con cariche virali di milioni di copie di Rna, corrispondenti a 24-25 cicli-soglia, può rappresentare per lungo tempo una fonte di contagio anche se asintomatico o paucisintomatico“.