Lo hanno realizzato alcuni studiosi, guidati dai vertici dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna. Basta eseguire due esami specifici per ridurre al minimo l’indice di mortalità da Coronavirus.
Esiste un metodo per rendere meno letale il Coronavirus, rispetto a quanto si è visto durante la scorsa primavera. E questo metodo è il frutto di un lungo studio condotto da specialisti nostri connazionali. In particolare è stato l’ospedale Sant’Orsola di Bologna, con la sua valida equipe, a portare a termine questo importante studio. Qui si è scoperto il meccanismo che determina il gran numero di persone uscite senza vita dai reparti di terapia intensiva, dopo aver contratto il Coronavirus. E il rimedio più concreto è rappresentato dallo svolgimento di due esami.
A pubblicare questo studio è stata la “Lancet Respiratory Medicine” lo scorso 27 agosto. Come detto, nello studio si dimostra che il virus può danneggiare entrambe le componenti dei polmone. Parliamo degli alveoli, che si occupano di acqusire ossigeno ed espellere anidride carbonica dal nostro corpo, e dei capillari, ovvero i vasi sanguigni in cui questo scambio avviene. Gli studiosi italiani hanno scoperto che un danneggiamento di entrambe le parti del polmone provoca la morte del 60% delle persone affette da Covid-19. Di contro, se il virus danneggia solo una delle due parti, la percentuale di mortalità scende sotto il 20%.
Per questo motivo si è cercato di capire quali sono i “tipi” di persone per i quali capillari e alveoli insieme sono attaccabili più facilmente. Sono stati identificati come “pazienti col doppio danno” e si possono riscontrare con un parametro di funzionalità polmonare. Stando ai risultati emersi dallo studio, è stato possibile portare a una serie di implicazioni per l’avvio di cure, che sono già disponibili. Ovviamente possono trarne giovamento i nuovi pazienti finiti in terapia intensiva dopo il riscontro della positività al Coronavirus.
Da ora in poi, infatti, sarà più semplice diagnosticare in maniera precisa il paziente con il “doppio danno”. E al tempo stesso si potranno individuare delle terapie ancor più efficaci per far scendere ulteriormente il tasso di mortalità. Tra le terapie più efficaci rientra l’Ecmo, acronimo di extra-corporeal membrane oxygenation. Ma anche la ventilazione meccanica può dare una grande mano ai medici che curano i pazienti in terapia intensiva. Di contro, i pazienti ricoverati con danno “singolo” possono ricorrere alla ventilazione non invasiva con il casco e alla terapia sub-intensiva.
Leggi anche -> Coronavirus, nuovi casi in Italia sotto quota mille: appena sei i decessi
Leggi anche -> Sanità, assunzioni via Skype e liste d’attesa più corte: il modello del Mauriziano di Torino
Come abbiamo detto, questo studio sui ricoveri in terapia intensiva con sintomi di Coronavirus ha una matrice tutta italiana. È stato condotto su oltre trecento persone ricoverate presso una serie di ospedali del nostro Paese. Abbiamo già annoverato il Sant’Orsola di Bologna, ma ce ne sono altri sei, sparsi per il territorio nazionale. Si tratta del Policlinico di Modena, l’Ospedale Maggiore, il Niguarda e l’Istituto Clinico Humanitas di Milano, l’Ospedale San Gerardo di Monza e il Policlinico Gemelli di Roma.