Per il virologo Giorgio Palù i bambini a 10 anni non sono in grado di gestire la mascherina per più ore. Serve altro: monitoraggio dei focolai, e la reintroduzione del medico scolastico.
Impossibile imporre le mascherine per più ore ai bambini: fino a 10 anni devono poter non indossarle. Piuttosto, è necessario più controllo, intervenire subito sui focolai. E reintrodurre la medicina scolastica. E’ così che per Giorgio Palù, docente emerito dell’Università di Padova ed ex presidente della Società europea di virologia (recentemente da noi intervistato), bisognerebbe gestire la ripresa delle lezioni nelle scuole: «Credo che andrebbe seguita la regola del buonsenso. I bambini dai 6 ai 10 anni non possono tenere le mascherine per 5-6 ore. E non lo dico solo io, ma già a maggio, in piena pandemia, lo aveva sostenuto pure l’Oms. Un uso improprio di tali presidi, può addirittura favorire i contagi. Un alunno in questa fascia di età, infatti, la leva, la appoggia in luoghi non sterili, la riprende, la mette nuovamente, e nel frattempo infila le dita in bocca, o nel naso. Per non parlare del rischio di stress respiratorio per l’infanzia. E lo stesso vale per i guanti, pure essi possono trasformarsi in veicolo di contagio se usati non correttamente» spiega il professore, che specifica e aggiunge: «Parlo ancora ricorrendo al buonsenso, e sostengo che magari dai 10 anni in su, diciamo alle medie e alle superiori, va imposto l’utilizzo della mascherina, ma prima no. Quanto al distanziamento in classe o sugli autobus, che senso ha se poi il pomeriggio gli studenti vanno al supermercato con i genitori, o a cena con i parenti, e possono quindi restare vicino a chiunque?».
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Ragionamenti di buon senso, appunto, che fanno riferimento a situazioni reali, da gestire. Sopratutto in relazione all’aumento dei contagi che stiamo registrando in questa parte finale dell’estate: «Bisogna attuare, e con rigorosità, controlli in presenza di focolai, intervenendo tempestivamente, imponendo la quarantena alle classi, o agli edifici, dove si sono sviluppati. Ripeto sino alla noia che vanno monitorati i cluster con l’effettuazione di tamponi e test sierologici in maniera capillare», insiste Palù. Che poi fa riferimento a quello che è già successo nei mesi scorsi, e che qualcosa deve averci insegnato: «Non si tratta di un problema clinico-assistenziale, perché quando arrivano in Rianimazione tanti pazienti sono ormai senza speranza, bensì di salute pubblica, e come tale va affrontato. Prevenzione, attenzione, preparazione e tracciabilità per risalire ai positivi, cioè alle sorgenti del contagio, sono le parole chiave. Per esempio, la Lombardia ha commesso un grave errore ricoverando tutti. Ora, invece che pensare alle degenze, sarebbe necessario attivare misure preventive, in primis ripristinando la medicina scolastica, come un tempo quando la sorveglianza era affidata appunto al medico scolastico che faceva effettuare le schermografie e altri accertamenti all’insorgere di determinate malattie. Riscopriamo, quindi, quello che era già stato inventato in passato». Un approccio diverso, che dovrebbe essere possibile anche in virtù del fatto che – come ha spiegato lo stesso professore in un’intervista precedente – siamo più preparati ad affrontare la pandemia rispetto a marzo. La cosa più complicata potrebbe essere quella di gestire il cosidetto “distanziamento sociale”: «Intanto è inutile parlare di distanziamento se non c’è una sanificazione adeguata che non è semplice da effettuare. Ma significativo è ricordare che gli impianti di condizionamento, se non c’è immissione di aria dall’esterno, possono diffondere il virus» spiega ancora il virologo. «Nelle aule, invece, va continuamente cambiata l’aria e soprattutto deve entrare il sole, il virucida più efficace. Non dimentichiamo, come documenta la letteratura scientifica, che i bambini si ammalano pochissimo, che non sono contagiosi e che, essendo sani non presentando co-morbosità come arterie chiuse o ipertensione, non permettono al virus di crescere all’interno del loro organismo, in quanto l’infezione si risolve già a livello delle prime vie aeree, e non raggiunge altri organi, tanto meno i polmoni. In Francia hanno riaperto le scuole a giugno e non è successo nulla. In Germania ad agosto e hanno avuto sì dei casi, ma legati ai rientri, come sta avvenendo da noi».