Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione Italiana Medici di Famiglia, spiega la posizione degli insegnanti. “La maggior parte delle volte il no è arrivato da pazienti, professori o bidelli, che erano ancora in vacanza”, dice.
Tra poco più di due settimane prenderà il via il nuovo anno scolastico. C’è grande fermento, anche perchè bisognerà capire come si potranno seguire le norme anti-Covid all’interno dei vari plessi del nostro Paese. Ma nel frattempo emerge un altro problema che riguarda gli insegnanti e il personale scolastico. Il 30% dei soggetti chiamati a eseguire i test, che si stanno svolgendo a partire da lunedì scorso, hanno deciso di rifiutare. Una situazione che chiaramente non consente di procedere in maniera fluida, ma che può di certo trovare una spiegazione.
Come quella fornita in queste ore da Silvestro Scotti. Il segretario nazionale della Federazione Italiana Medici di Famiglia ha parlato di questo test come di “un importante valore epidemiologico per capire la suscettibilità di una categoria“. Il Coronavirus ha dimostrato di essere un problema molto serio, per questo motivo bisogna invogliare insegnanti, bidelli e personale scolastico a eseguire il test. E ai microfoni dei colleghi di Agi, il dottor Scotti svela anche i motivi per cui il suddetto 30% di rifiuti è arrivato in queste ore.
“La maggior parte delle volte il no è arrivato da pazienti, professori o bidelli, che erano ancora in vacanza“, svela il segretario nazionale della Federazione Italiana dei Medici di Famiglia. Dunque, secondo Scotti, si tratta di un problema che “contiamo di recuperare entro lunedì“. Anche perchè in questo momento, stanno lavorando su questo piano “circa mille medici, standardizzati per età, genere e pazienti, che fanno le rilevazioni con valore statistico“. I medici di famiglia hanno semplicemente seguito l’elenco che è stato loro fornito, tra il personale docente e non docente della scuola.
Ovviamente Scotti sottolinea l’importanza di dare comunicazioni dettagliate sul valore di questo test. Il segretario dei medici di famiglia fa capire che questa indagine non può essere considerata “un percorso di sicurezza individuale, dicendo che una volta testato l’insegnante non infetta“. Anzi, Scotti ammette che sia necessario “spiegare che sottoponendosi al sierologico si dà la possibilità di raccogliere dati per comprendere su larga scala il comportamento di una determinata categoria“. Dunque, con spiegazioni più dettagliate gli insegnanti e il personale della scuola dovrebbero rendersi disponibili al test.
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Dunque sarà necessario far capire a chi opera nel mondo della scuola, quanto sia alto il rischio di esposizione al virus in caso di mancato svolgimento del test. “In questo modo sarà più facile elaborare modelli e prendere decisioni per il futuro“, ha fatto capire Scotti. Si tratta in conclusione di un messaggio mirato nei confronti di chi manifesta ancora dubbi su questa indagine. Non è chiaramente questo lo strumento per mettere in sicurezza il mondo della scuola, ma può di certo rappresentare un passaggio intermedio affinchè questo accada.