La procura avrebbe scoperto 30 operazioni riconducibili ai fondi scomparsi. C’è anche una sovvenzione a Radio Padania, ma non solo.
Svolta nell’inchiesta sugli ormai famosi “49 milioni di euro” che la Lega ha ricevuto come rimborsi elettorali per poi spenderli non si sa ancora bene come. Nel computer sequestrato l’altro ieri al deputato leghista Fabio Massimo Boniardi ci sarebbero tracce di cancellazioni. È presto per dire se si tratti di indizi rilevanti: di certo c’è che i magistrati hanno dato alla Finanza un compito specifico, e cioè capire se negli ultimi mesi qualcuno ha provato ad alterare delle potenziali prove utili a verificare dove siano spariti i 49 milioni di euro della Lega. Una ricerca ormai entrata nel vivo: sono una trentina le operazioni nel mirino della Finanza, selezionate fra i trasferimenti superiori ai 50mila euro usciti dai conti del partito. Fra questi movimenti figura anche una sovvenzione a Radio Padania. L’ultimo capitolo dell’inchiesta risale a due giorni fa: i finanzieri si sono presentati alla Boniardi Grafiche srl, stamperia di via Gian Battista Vico, a Milano. L’azienda è posseduta al 25% dal parlamentare e storicamente è molto vicina alle attività del Carroccio. Una prima perquisizione, a dicembre, era stata interrotta perché Boniardi aveva opposto l’immunità parlamentare: nella stamperia ha il domicilio. I finanzieri furono costretti a quel punto a ripresentarsi con un’autorizzazione del Parlamento, concessa soltanto un mese fa. La tipografia entra nell’inchiesta della Procura di Genova per via di una fattura da 450mila euro emessa nei confronti della “Associazione Maroni presidente”. Il pagamento riguarderebbe manifesti e santini elettorali in favore della lista civica che nel 2013 sostiene il futuro governatore della Lombardia. Ma uno dei candidati, Marco Tizzoni, avrebbe raccontato ai pm di non aver mai visto traccia del materiale di propaganda. Dove sono finiti, allora, quei 450mila euro? Per la Guardia di Finanza, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Pinto e dal pm Paola Calleri, si tratta di un’operazione di fatto inesistente. Una delle varie manovre attraverso cui la Lega ha giustificato lo svuotamento dei conti dopo lo scandalo Belsito. Al suo avvicendamento, nel 2012, l’ex tesoriere sostiene di aver lasciato 40 milioni sui conti del partito. Quando la Procura prova a confiscarli, nel 2018, ne trova poco più di 3. E nel frattempo la nuova Lega guidata da Matteo Salvini si mette d’accordo per pagare la parte restante in rate che si estingueranno in 80 anni.
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Alla Boniardi Grafiche gli inquirenti sono arrivati come spesso si fa in inchieste di questo tipo: cioè seguendo i flussi di danaro. Prima analizzando le uscite del conto gestito da Belsito, presso la Banca Aletti, poi tracciando i soldi verso vari istituti di credito, tra Milano e il Veneto, si arriva alle evidenze. Un primo filone porta a 10 milioni di euro depositati alla Banca Sparkasse di Bolzano, che è un “recipiente” che si svuota in fretta. Mentre da alcuni conti anonimi dell’istituto trentino partono investimenti per lo stesso valore in Lussemburgo. Il terzo passaggio è il rientro di 3 milioni in Italia da una fiduciaria del Granducato: un’operazione sospetta, secondo la stessa fiduciaria, che la segnala all’antiriciclaggio italiano. Dove sono finiti quei soldi? Ma, soprattutto, sono ricollegabili alla Lega attuale, gestita da Matteo Salvini e dal tesoriere Guido Centemero? Dallo stesso conto della Banca Aletti sono partiti anche finanziamenti all’Associazione Maroni presidente, per un valore simile a quello pagato alla tipografia di Boniardi. Il sospetto, insomma, è che i soldi siano andati altrove. Per questo è indagato per riciclaggio proprio il presidente dell’associazione, Stefano Bruno Galli, che è anche assessore della giunta di Attilio Fontana. Ma gli accertamenti potrebbero non fermarsi qui. Secondo il tesoriere dell’associazione, Luca Lepore, a decidere entrate e uscite dell’Associazione Maroni presidente erano alcuni big del Carroccio.
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