Oltre 400 le imprese sia in Sicilia che in Campania, ad aver fatto ricorso a questo metodo per ottenere la cassa integrazione. Netto l’aumento rispetto al 2019, quando in tutto l’anno erano state mosse denunce per 2300 aziende.
Il ricorso alla cassa integrazione è stato spesso fondamentale per le aziende in questa prima fetta di 2020. L’emergenza sanitaria ha costretto alcune società a chiudere i battenti per diverse settimane, in quanto non rappresentavano aziende fornitrici di beni di prima necessità. Per questo motivo i posti di lavoro sono stati messi a rischio finchè non è arrivata la data del 17 marzo. Ovvero quella in cui il Governo ha fatto scattare il decreto Cura Italia. E tra le sue peculiarità c’era proprio l’accesso alla cassa integrazione in favore delle aziende in difficoltà.
Ma come si suol dire in questi casi, “fatta la legge è stato trovato l’inganno”. Un inganno sotto forma di false assunzioni, che servivano ai titolari delle aziende per avere i requisiti tali da ottenere il provvedimento. E stando a un’indagine condotta dall’Huffington Post, si sono verificate centinaia di casi di questo tipo. Oltre 3mila entro la data fatidica del via del decreto Cura Italia, con alcune zone d’Italia in cui questo fenomeno è stato dilagante. 465 delle 3.075 aziende finite nel mirino per assunzioni fittizie operano in Sicilia.
Ma se la maglia nera finisce dritta dritta all’isola, poco distanti ci sono le 457 aziende che operano nel coordinamento metropolitano di Napoli. Un numero clamoroso, se consideriamo che nel resto della Campania le aziende che hanno assunto in maniera fittizia per ottenere la cassa integrazione sono “solo” 185. A completare il triste podio è il Lazio, in cui operano 265 aziende che hanno operato con metodi di frode. Tra le altre cose, è molto frequente il caso di imprese costituite ad hoc per poter concedere incentivi e vantaggi ad amici e parenti.
Proseguendo nell’elenco delle aziende suddivise per regione, ci rendiamo conto che il fenomeno è assai diffuso. Troviamo infatti 56 aziende in Abruzzo, 119 in Calabria, 182 della Direzione di Milano, 291 di quella di Roma, 20 in Friuli Venezia-Giulia, 15 in Liguria, 195 in Lombardia, 19 nelle Marche, 8 in Molise, 22 in Piemonte, 158 in Puglia, 55 in Sardegna, 139 in Toscana. Nella lista nera 27 aziende del Trentino, 42 di Bolzano, 85 dell’Umbria, 13 del Veneto e una in Valle d’Aosta. Per un totale di 3.075 aziende che gli ispettori Inps hanno messo nel mirino.
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L’analisi di questo fenomeno è affidata ad Antonio Pone, direttore regionale dell’Inps per il Veneto. Secondo il dirigente dell’ente previdenziale, “a livello territoriale è certo che la grandissima parte degli operatori economici ha operato correttamente“. Secondo Pone, “la ripresa dei controlli dopo la fine del lockdown era stata anticipata alle parti sociali, a livello regionale, non solo in un’ottica di collaborazione, ma anche al fine di conseguire un effetto dissuasivo di potenziali comportamenti fraudolenti, un alert preventivo“.
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