Si tratta di Maria Carmela Longo, è finita agli arresti domiciliari con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa
Faceva piccoli e grandi favori ai capimafia, concessioni magari grazie a certificati medici dal valore discutibile, chiudeva gli occhi di fronte a piccole e grandi violazioni. L’indagine ha portato all’arresto dell’ex direttrice del carcere di Reggio Calabria, che stava per prendere servizio a Rebibbia come direttrice della sezione femminibile Maria Carmela Longo è finita ai domiciliari per concorso in esterno in associazione mafiosa.
Maria Carmela Longo era apparentemente una funzionaria pignola fin quasi alla paranoia, così almeno la descriveva chi aveva lavorato con lei, ma in realtà – in base all’inchiesta dei pm Stefano Musolino e Sabrina Fornaro della Dda di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri – la direttrice Longo era un’alleata dei clan. Una su cui in troppi potevano contare per non perdere contatti e potere.
I favoriti della direttrice
I trattamenti di riguardo della direttrice erano rivolti soprattutto agli uomini di tutte le più importanti famiglie di mafia reggine. Nomi come Paolo Romeo, condannato in via definitiva per concorso esterno e attualmente imputato come elemento di vertice della direzione strategica della ‘Ndrangheta reggina nel processo Gotha. Con lui, anche il boss di Sinopoli, Cosimo Alvaro, Michele Crudo, Maurizio Cortese. Altri nomi dei clan della Pianata: Domenico Bellocco e Giovanni Battista Cacciola. Erano tutti reclusi nella circuito di Alta sicurezza ma tutti con la possibilità di parlare con parenti o affiliati, con i quali hanno passato il tempo magari a pianificare strategie o concordato versioni e linee difensive da assumere.
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Detenuti in esterno
La direttrice dava addirittura la possibilità ad alcuni detenuti, su indicazione dei vertici dei clan, di farli lavorare in carcere oppure indicava ai magistrati di sorveglianza chi autorizzare al lavoro esterno.
I trasferimenti pilotati
Su richiesta dei Clan, la direttrice era disponibile a ad accogliere nel carcere di Reggio Calabria detenuti di ‘Ndrangheta posizionati troppo lontani dalla Calabria, o che forse avevano necessità di non allontanarsi troppo dal proprio territorio per continuare a gestirlo.
Ha agito da sola?
La direttrice in più di quindici anni ha diretto prima solo il carcere di San Pietro, poi anche quello di Arghillà. Secondo i magistrati potrebbe non aver agito da sola. Per questa ragione, la contestazione di concorso esterno che le viene mossa è in concorso con altri – per ora anonimi – complici. Si è parlato, anche se al momento sono solo delle indiscrezioni, di agenti penitenziari.
CARCERI DI GIACOMO: ARRESTO DIRETTRICE REGGIO CALABRIA. LONTANI DA VINCERE LE MAFIE. NELLE CARCERI COMANDANO ANCORA LORO.
L’arresto per concorso esterno per associazione mafiosa dell’ex direttore della Casa Circondariale di Reggio Calabria riapre il tema dei detenuti dell’alta sicurezza, i quali da anni comandano nelle carceri italiane e impartiscono ordini all’esterno trovando nel carcere, che dovrebbe essere il punto terminale di una carriera criminale, un punto di ripartenza e di riorganizzazione delle attività mafiose sui propri territori. A dichiararlo è il segretario generale del sindacato S.PP. Aldo Di Giacomo: “da anni l’attenzione mediatica è rivolta in modo esclusivo al 41Bis, ma chi conosce bene il carcere sa che la partita si sta giocando tra Stato e detenuti dell’alta sicurezza i quali hanno il controllo assoluto all’interno delle carceri. Il ruolo svolto dalla polizia penitenziaria, in questo caso, ma più in generale alla lotta alla criminalità organizzata, è fondamentale ed imprescindibile. L’arresto di ieri è probabilmente solo la punta dell’iceberg, le collusioni tra parte consistente dello Stato e le mafie ed i tessuti sociali e religiosi sono forse stati troppo sotto dimensionate. Se così non fosse come si spiegherebbero i 4 mila detenuti di alta sicurezza che usufruiscono delle celle aperte”. Continua Di Giacomo: “il contrasto alle mafie sarà il tema più importante del prossimo decennio. La lotta alle stesse non potrà prescindere da un contrasto anche e soprattutto all’interno delle carceri e in questo il ruolo più importante lo giocherà la polizia penitenziaria collegata alle altre forze di polizia ed alla magistratura anti-mafia, svincolandola da assurde sovrapposizione con le logiche emerse con l’arresto di ieri”. Senza questo la lotta alle mafie sarà incompiuta, conclude Di Giacomo.