È stato il primo conduttore professionista di un telegiornale italiano, consigliere di due Presidenti della Repubblica. Aveva 94 anni.
“Non so in che ordine vengano le varie mie qualità ma credo di aver messo istintivamente al primo posto quella di giornalista. Credo di essere giornalista prima ancora di essere italiano o ebreo, o modenese, o europeo o occidentale”.
Arrigo Levi è scomparso ieri all’età di 94 anni. Una vita spesa per il giornalismo in molti ruoli, come inviato speciale, corrispondente dall’estero e commentatore della BBC, La Gazzetta del Popolo, il Corriere, il Giorno, per arrivare poi alla direzione del Tg Rai e della Stampa ed infine scelto da due presidenti della Repubblica, Ciampi e Napolitano, come consigliere.
È stato la voce dei dissidenti, il suo motto era “combattere i miti”, ovvero i totalitarismi. Memorabili i suoi reportage dal Cile di Allende, alla vigile del golpe militare e dall’America ferita dall’assassinio di Kennedy. Autore anche di molti e apprezzati volumi di saggi.
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Nel parlare dei rapporti con i suoi colleghi, da Montanelli, a Bettiza a Cavallari, diceva: “Eravamo tutti rivali e tutti dannatamente nevrotici… eppure, giovani o vecchi, famosi o principianti, meritavamo tutti lo stesso riguardo… in un signorile spirito di colleganza che cancellava le differenze d’età e d’esperienza e che dava spazio e respiro alle nostre ambizioni e alle nostre ansie”.
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