Mario sarebbe dovuto tornare a casa dalla Colombia il 29 luglio scorso, invece gli amici e i parenti della sua cara Napoli non ha potuto più riabbracciarli. Oggi si cerca la verità e quattro agenti della polizia locale sono finiti sotto inchiesta.
Il corpo di Mario Paciolla adesso riposa nel cimitero della sua città, Napoli. Mario aveva un forte desiderio di aiutare gli altri: sarebbe dovuto tornare per ripartire ancora, in qualche parte del mondo, con una nuova missione. Invece è rientrato in una bara, e sulla sua morte, avvenuta il 15 luglio in Colombia, a San Vicente de Caguan, si addensano dubbi ed ombre che non solo fanno pensare sempre più a un omicidio, ma fanno anche temere una possibile oscurazione del caso da parte delle forze dell’ordine locali.
Mario Paciolla aveva 33 anni e a San Vicente lavorava con un contratto di collaborazione con le Nazioni Unite in un progetto mirato ad agevolare il processo di pacificazione tra ex guerriglieri delle Farc e lo Stato colombiano. La mattina del 15 luglio fu trovato in casa, impiccato e con il corpo martoriato da molte ferite da lama. Il papà Giuseppe e la mamma Anna Motta non hanno mai creduto all’ipotesi di suicidio. Nei mesi successivi infatti, viene sempre più esclusa anche dalle indagini delle autorità colombiane, mentre un fascicolo viene aperto pure dalla Procura di Roma, competente sulle morti sospette di cittadini italiani all’estero. E i sospetti aumentano dopo gli ultimi sviluppi investigativi.
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Secondo il quotidiano colombiano El Espectador, che segue da vicino il caso, quattro agenti della polizia locale sono finiti sotto inchiesta per aver consentito ad alcuni funzionari dell’Unità indagini speciali del dipartimento Salvaguardia e Sicurezza delle Nazioni Unite di raccogliere e portare via dalla casa di San Vicente una parte degli effetti personali di Mario, sottraendo così del materiale compromettente per le prove. Perché lo avrebbero fatto? Se lo chiede il senatore Sandro Ruotolo, che sollecita un intervento chiarificatore del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Il papà e la mamma di Mario non hanno mai creduto al suicidio e spiegano tramite le loro legali Alessandra Ballerini e Emanuela Motta quali erano le passioni del figlio: “Per il suo grande ottimismo, per la sua voglia smodata di amore per la vita, per l’attaccamento alla famiglia, agli amici, alla sua città. E per i progetti che con noi aveva fatto per il suo ritorno a Napoli: stava studiando il francese per poi prendere qui il titolo per l’insegnamento”.
Ma il pensiero fisso di Giuseppe e Anna è a una videochiamata che il figlio fece a casa l’11 luglio. Fu molto strana, raccontano i genitori: “Chiamò a un orario insolito. Era preoccupato per alcuni dissapori nati con l’organizzazione, ci raccontò di aver discusso con alcuni colleghi e ci annunciò di volere rientrare subito in Italia, aveva molta fretta di uscire dalla Colombia e ci disse di voler chiudere definitivamente con l’Onu. Nei giorni successivi ci siamo sentiti quotidianamente, ci è sempre apparso molto preoccupato, a tratti impaurito. Il giorno 14 ci ha detto di aver ricevuto la documentazione necessaria per partire e in quella stessa notte aveva acquistato un biglietto per Parigi per il giorno 20″. Ora spetta alle autorità italiane fare luce sulla vicenda: “Tutti ci hanno promesso di adoperarsi alla ricerca della verità per poter dare giustizia a Mario. È l’unica cosa che desideriamo”.
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