È il grido d’allarme di Valerio Laino, titolare del Peperoncino d’Oro, un ristorante nella centralissima via del Boschetto di Roma.
Un po’ come il cartello “vietato l’ingresso ai cani” che si appende fuori dagli esercizi. In questo caso però, scritto a mano con pennarello nero, campeggia sulla porta a vetri di un ristorante e le presenze non gradite sono di un altro tipo: «In questo locale non è gradita la presenza di politici!!!». È il grido d’allarme di Valerio Laino, titolare del Peperoncino d’Oro, un ristorante nella centralissima via del Boschetto di Roma, rione Monti. Il locale è noto per i suoi piatti a base di pesce, insaporiti dai sapori della Calabria, regione di origine dello Chef. Valerio Laino in un’intervista a Libero, interrogato riguardo questa sua scelta, ha spiegato: «Perché ci hanno messo in ginocchio. Da mesi, da quando è iniziata l’emergenza Covid, affrontiamo spese insostenibili e loro non fanno niente per darci una mano. Siamo in trincea e ci prendono in giro».
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Il riferimento alla presa in giro, riguarda il viceministro dell’Economia, Laura Castelli, e alla sua dichiarazione sui ristoratori, che dovrebbero cambiare mestiere «Vergognoso. Come si fa a dire una cosa del genere? Ma ci rendiamo conto? È come se io dicessi a lei che fa la giornalista da anni: visto che nessuno legge più i giornali di carta, cambi mestiere. Il governo ha il compito di aiutarci, non di metterci in mutande». E i 600 euro del governo, giunti in ‘soccorso’: «Sì, ma solo a marzo e aprile, poi basta. Possono essere sufficienti 600 euro al mese per vivere a Roma e pagare le spese, saldare l’affitto e fare andare avanti questa attività, che io ho iniziato quando avevo 13 anni perché sono sempre stato appassionato di cucina e ancora adesso, ogni mattina vado a Fiumicino e a Santa Marinella a scegliere personalmente il pesce più fresco per i miei clienti e parlo con i pescatori, è la mia storia. Ho investito bei soldi per questo locale, adesso è un pianto, nella via non passa più nessuno, zero turisti, il Comune latita, io sono in trincea e attendo risposte da questa classe politica capace solo a chiudere e a fare allarmismo».
«L’unico plauso che al governo, a mio parere, è quello di averci aiutato ad indebitarci con l’accesso al credito grazie alla garanzia dello Stato, non dimenticando che la chiusura delle attività c’è stata imposta; così facendo è stato deciso il nostro fallimento ormai quasi consolidato». Ed ha aggiunto, interrogato in merito a tagli nel suo personale: «Per forza. Eravamo in 4, siamo rimasti in 2. A malincuore ci siamo accordati, non potevo fare altrimenti. Il mio locale non è grande ma era sempre pieno, bisognava prenotare due o tre giorni prima per trovare posto, ora gli incassi sono diminuiti dell’80 per cento. Adesso, per via del distanziamento, posso tenere sì e no quattro tavoli, i coperti sono stati dimezzati e se volessi allargarmi fuori dovrei sborsare per la tassa di occupazione del suolo pubblico».
«Qui dietro abita l’ex presidente Napolitano, è venuto certo, ma un po’ tutti, di ogni schieramento. Adesso però non voglio vederli. Se prorogano lo stato di emergenza, come sembra, per noi ristoratori la situazione sarà ancora più drammatica: molti dipendenti della Banca d’Italia, lavoratori pubblici, venivano qui a pranzo o a fare le cene di lavoro, con lo smart working invece stanno a casa e c’è il deserto». Laino ha poi aggiunto, come proposta per potersi risollevare: «Lo sciopero fiscale. Io non sono per evadere, sia chiaro. Ma se penso al mancato rinvio delle tasse da luglio a settembre provo rabbia e disprezzo. Per noi ristoratori del centro di Roma le speranze di salvarci sono sempre di meno e il grande patto in Europa, viste le condizioni e l’erogazione posticipata dei soldi, per noi partite Iva non sarà altro che l’ennesima beffa».
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