Rese note le intercettazioni delle guardie penitenziarie accusate di tortura nel carcere Lorusso-Cutugno di Torino. “Andiamo a divertirci”, e ancora, “Tu devi morire qui”.
Si sono concluse la scorsa settimana le indagini della Procura di Torino sulle presunte violenze e torture ai danni dei detenuti del carcere Lorusso-Cutugno di Torino. Nell’inchiesta sono finiti tra i 25 indagati anche il direttore Domenico Minervini e il capo delle guardie carcerarie Giovanni Battista Alberotanza – lo stesso che, secondo l’accusa, avrebbero coperto gli episodi. Oggi però emergono nuovi dettagli sull’inchiesta, coordinata dal pm Francesco Pelosi: non solo i due sarebbero stati rimossi dai loro incarichi, ma spuntano anche diverse intercettazioni dei 21 agenti della polizia penitenziaria coinvolti. A renderlo noto è stato il quotidiano di Repubblica.
Le indagini sui reati di violenza e tortura nel carcere torinese di Lorusso-Cutugno, riguardano un periodo di oltre due anni, compreso tra marzo 2017 e settembre 2019. I presunti pestaggi, perpetrati ai danni dei detenuti ospiti della struttura, si sarebbero verificati nei corridoi, nelle celle e negli spazi comuni. Il direttore dell’istituto avrebbe sempre taciuto sui reati messi a segno dalle guardie penitenziarie, mentre il comandante avrebbe addirittura fabbricato dossier falsi per nascondere la vicenda. Tanto che in un’intercettazione, un agente parla in questo modo proprio del suo superiore: “il comandante dice ‘al telefono non dite niente, non fate niente, perché credono più ai detenuti che a voi'”.
“Andiamo a dare i cambi che oggi mi sto divertendo”, racconta invece un’altra guardia mentre parla con la sua fidanzata, ad ottobre 2019. “A menà?”, ribatteva lei, come se quella fosse l’abitudine per l’uomo durante il suo consueto orario di lavoro . Un divertimento, il loro, che si è trasformato poi in paura, quando quelle violenze sono uscite infine allo scoperto. “Bisogna dire ai ragazzi di mettere d’accordo gli avvocati in modo da tenere la stessa linea”, spiegava il comandante a un suo sottoposto il 4 novembre.
“Ti ammazzerei e invece devo tutelarti” , si sentivano dire ripetutamente i detenuti del padiglione dei sex-offender. E li “picchiavano e ridevano”, scrive la procura di Torino nel capo di imputazione di alcuni agenti, con calci, pugni e sputi. Sorte che è toccata a Amadou I., pestato dentro la cella da tre agenti mentre due secondini si assicuravano che nessuno li vedesse.
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Dalle indagini, sarebbe emerso che le violenze venivano inflitte ai carcerati considerati più fragili, che qualche scompenso psichico. Erano loro che venivano costretti a togliersi i vestiti di dosso, per essere malmenati e obbligati a dire “sono un pezzo di m…”, mentre gli agenti gli rimproveravano: “Tu devi morire qui”. Umiliazioni che hanno portato persino al suicidio di un ospite della struttura, ritrovato nella sua cella già morto, impiccato al letto con un lenzuolo. “Si tratta di una gestione basata su una sistematica attività volta a instaurare un clima di intimidazione”, spiegano gli agenti del Nucleo investigativo della Polizia penitenziaria, che nelle indagini hanno ricostruito almeno undici casi.
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