Attilio Fontana e il caso dei camici in Lombardia. I sospetti sui soldi versati in Svizzera, l’indagine della procura di Milano prosegue e svela nuovi retroscena. Di mezzo anche l’eredità della madre.
Era beneficiario Attilio Fontana dei soldi gestiti fino a cinque anni fa tramite “trust” e che sarebbero stati aperti nel 2005 alle Bahamas dalla madre allora 82enne e con il figlio beneficiario. Sono stati dichiarati allo Stato italiano dieci anni dopo, quando è sopraggiunta la morte della donna e sono divenuti ufficialmente eredità del figlio. Un totale di 5,3 milioni di euro scudati tramite “voluntary disclosure”. I pm che ora vogliono vederci chiaro a riguardo hanno ordinato una serie di accertamenti tecnici alla Guardia di Finanza. Prima fra tutti il mandato fiduciario, l’insolito strumento con cui il governatore gestisce tramite una società 4,4 milioni di euro su conti svizzeri.
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Dall’indagine stanno emergendo dunque altri retroscena. Tutto quanto sta venendo a galla partendo dalla fornitura da 513mila euro per 75mila camici, affidata dalla Regione a Dama spa, la società del cognato di Attilio Fontana, Andrea Dini, e di cui la moglie del governatore ne detiene una quota. Si tratta di un’azienda varesina che nel periodo dell’emergenza covid aveva riconvertito la produzione da felpe a camici e mascherine. Il tutto era stato poi trasformato in una donazione, quando la pressione dei giornalisti si era fatta sentire. La fornitura è stata quindi interrotta. Dini aveva provato perfino a rivendere una parte dei camici (25mila) ad un prezzo maggiorato, da 9 euro ai 6 euro con cui voleva inizialmente piazzarli. Da qui l’accusa di frode nelle pubbliche forniture che vede indagati Attilio Fontana, Andrea Dini, Filippo Bongiovanni, ex dg di Aria, la centrale acquisti del Pirellone, e Carmen Schweigl, dirigente responsabile della struttura gare di Aria.
Per Bongiovanni e Dini c’è anche l’accusa di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. In tutto questo sono anche emersi i soldi all’estero: Fontana infatti avrebbe tentato di fare un bonifico tramite la fiduciaria, di 250mila euro (poi bloccato), direttamente alla Dama spa attingendo proprio da quei conti svizzeri. “Quando è venuto a sapere della fornitura, per evitare equivoci Fontana ha detto a Dini di trasformarla in donazione e lo scrupolo di aver danneggiato suo cognato lo ha indotto in coscienza a fare un gesto risarcitorio”, ha spiegato Jacopo Pensa, avvocato di Fontana. Ovvero un modo per “risarcire” il cognato pagando di tasca propria.
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“Nelle dichiarazioni richieste dalle norme sulla trasparenza sono riportati nel dettaglio i miei patrimoni, non vi è nulla di nascosto”, la difesa su Facebook di Fontana. A condurre i magistrati su questa strada è stata una segnalazione di operazione sospetta arrivata dalla fiduciaria il 22 maggio e poi finita in procura: il passaggio dei soldi non era giustificato da fatture emesse e nella causale del bonifico si faceva esplicito riferimento alla fornitura di camici. L’8 luglio i magistrati hanno fatto acquisizioni dei documenti in Aria e presso la fiduciaria e così hanno potuto ricostruire i movimenti di denaro. Per quanto riguarda l’aspetto penale, il punto più spinoso è lo stop della fornitura. Anche perché appare ingiustificabile l’aver interrotto quel pur piccolo rifornimento di camici che in quei mesi erano merce rara. “Lavoravamo 12 ore al giorno, in piena emergenza”, ha dichiarato Bongiovanni ai pm milanesi Furno, Scalas e Filippini. Che adesso dovranno valutare, nelle azioni dei protagonisti di questa storia, dove inizia e finisce la buona fede.
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