Il Segretario di Stato Mike Pompeo attacca duramente la Cina ed il presidente Xi Jinping. E’ escalation di tensione tra le due potenze.
Tensione alle stelle tra Usa e Cina, con l’amministrazione Trump che, in piena campagna elettorale, soffia pericolosamente sul fuoco. E l’escalation continua, pericolosamente. Per la prima volta il Segretario di Stato Mike Pompeo ha invitato «il popolo cinese a cambiare il comportamento del Partito comunista».Ma la novitàm è l’attacco durissimo e diretto al presidente Xi Jinping: «Un vero credente nella fallimentare ideologia totalitaria». Il capo della diplomazia Usa ha chiesto addirittura agli alleati di formare un cordone per isolare Pechino, assicurando che gli Stati Uniti «faranno il possibile per dare forza al popolo cinese». Sono parole pesanti che confermano un cambiamento brusco dello schema adottato dall’amministrazione Trump negli ultimi tre anni: alternare conflitto e cooperazione, cercando un accordo sul commercio e una sponda per addomesticare il dittatore nordcoreano Kim Jong-Un. Anche nei momenti più tesi, Donald Trump ha sempre tenuto fuori dalla mischia il «grande presidente Xi-Jinping». Ora Pompeo lo attacca direttamente, senza giri di parole. E Pechino, nel frattempo, risponde alla chiusura del consolato a Houston ordinata dagli Usa: come riferito dal New York Times, la Cina ha infatti a sua volta ordinato agli Stati Uniti di chiudere il consolato a Chengdu, come evidente rappresaglia alla mossa di Washington.
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Le dichiarazioni del Segretario di Stato arrivano nel pieno della «crisi dei consolati», e nello stesso giorno in cui il presidente annuncia la cancellazione della convention repubblicana a Jacksonville, in Florida. «Non è il momento per grandi raduni», ha detto Trump. La crescita dei positivi, ieri toccata la soglia di 4 milioni in tutto il Paese, costringe a rivedere anche i piani della campagna elettorale. La Casa Bianca ha provato a resistere fino all’ultimo. Ma le previsioni sono pessime: la Florida rimarrà uno dei focolai più attivi del contagio. I delegati, allora, si incontreranno a Charlotte in North Carolina, a ranghi ridotti e attribuiranno la «nomination» al presidente in carica. Poi si procederà solo con eventi online, compreso il discorso finale di Trump. Cina ed emergenza interna sono i due grandi temi che si incrociano: e’ evidente come entrambi stiano interferendo con la campagna elettorale. Il dubbio è che l’amministrazione Trump stia alzando il livello dello scontro con la Cina per distogliere l’attenzione sulla gestione molto discutibile dell’emergenza Covid. E, sempre a proposito di Cina, da S.Francisco arriva una nuova storia poco chiara: una scienziata cinese si sarebbe rifugiata nel consolato del suo Paese nella città californiana per sfuggire a un mandato di cattura spiccato dall’Fbi. La donna si chiama Juan Tang ed è una specialista della ricerca sul cancro: stava partecipando a un programma di scambio nell’Università pubblica della California, a Davis. Gli investigatori la accusano di aver falsificato la domanda per ottenere il permesso di soggiorno e sopratutto di avere rapporti con l’esercito cinese. Il 20 giugno gli agenti del Federal Bureau hanno perquisito la sua abitazione, trovando foto della ricercatrice in divisa e scoprendo che aveva lavorato per l’esercito. Cosa che la donna aveva negato in precedenza. Una vicenda poco chiara, che si inserisce in una situazione complessa: il 7 luglio scorso, intervenendo in una conferenza virtuale del centro studi Hudson a Washington, il direttore dell’Fbi Christopher Wray ha rivelato: «Il nostro controspionaggio sta lavorando su circa cinquemila dossier collegati alla Cina, ormai ne apriamo uno ogni 10 ore».