Quindici anni fa arrivava nelle sale La Casa del Diavolo, celebre horror diretto da Rob Zombie con Sid Haig, Bill Moseley, Sheri Moon Zombie e William Forsythe. È il film che ha definito l’estetica di Rob Zombie, consacrandone il “mito” tra gli appassionati del cinema di genere.
Il cinema horror di Rob Zombie ha sempre messo in scena, rigirando la piaga nel coltello e costringendo lo spettatore a non distogliere lo sguardo, la sofferenza di vittime la cui unica colpa è quella di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato. La Casa del Diavolo, a distanza di quindici anni dal suo debutto in sala, è ancora l’esempio massimo dell’estetica fondata da Rob Zombie, contenendo in sé tutte le ragioni per cui il regista americano è così amato (e osteggiato) dagli appassionati del cinema di genere.
La Casa del Diavolo compie 15 anni
Rob Zombie, musicista industrial metal con una pregressa esperienza nel campo dei fumetti e dei cartoni animati, aveva esordito alla regia con un horror solo apparentemente aderente a tutti i gli stereotipi classici dello slasher (La casa dei 1000 corpi), ma sorretto da una messa in scena personalissima, capace di guardare contemporaneamente a Sam Peckinpah (per l’utilizzo massiccio di freeze-frame) e all’estetica dei videoclip musicali psichedelici che Rob Zombie aveva già fondato con i suoi lavori per i White Zombie e per i suoi album da solista. Da un plot scarnissimo (quattro amici bucano nel nulla e si rifugiano in una casa abitata da una famiglia di matti assassini), quel minuscolo film del 2003 conquistò il pubblico grazie alla sua cattiveria (mutuata da Tobe Hooper) e al gusto post moderno per i dialoghi e le citazioni pop/metacinematografiche di Quentin Tarantino. Il cinema di Rob Zombie prende le mosse da The Texas Chainsaw Massacre 2 (raffinata operazione di “demolizione” del precedente capolavoro, ad opera del suo stesso regista), estremizzato nel gusto per il grottesco e completamente appiattito sul punto di vista dei cattivi. È in quel film che viene “creata” la famiglia Firefly, che tornerà poi ne La casa del diavolo (forse il capitolo più riuscito della trilogia) e nel recente 3 from Hell: ovvero la famiglia del Texas Chainsaw Massacre ma raccontata come se fosse la famiglia Addams.
Da Tobe Hooper a Peckinpah
La Casa del Diavolo, decidendo di alzare ancora di più il tiro, compie il passaggio definitivo da Tobe Hooper a Peckinpah, dai colori psichedelici de La casa dei 1000 corpi alla polvere e alla ruggine delle fughe on the road. I membri della famiglia Firefly diventano gli antieroi della New Hollywood, da Bonnie e Clyde a Butch Cassidy e Sundance Kid. Otis, Baby e Captain Spaulding vengono spogliati delle loro caratteristiche più surreali e messi direttamente in relazione con Charlie Manson, Susan Atkins e John Wayne Gacy. Per fare questo, Rob Zombie guarda con disprezzo “l’eroe” del suo film (lo sceriffo interpretato da un monumentale William Forsythe), la cui violenta vendetta bigotta è più deplorevole, secondo il regista, della violenza perpetrata da chi, a differenza sua, non ha giurato fedeltà a nessun codice e a nessuna legge. Senza alcune necessità di porre didascalie, La Casa del Diavolo riprende i discorsi sul voyeurismo e sulla “trappola” dell’empatia di Funny Games.
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I riferimenti cinematografici
In un cinema così apparentemente privo di ironia come quello di Rob Zombie, numerosi sono i riferimenti al cinema comico dei fratelli Marx. Capitano Spaulding, Rufus T. Firefly, Otis B. Driftwood e Wolf J. Flywheel (altro pseudonimo di Charlie Altamont) sono i nomi dei personaggi interpretati da Groucho, rispettivamente, in Animal Crackers, La guerra lampo dei Fratelli Marx, Una notte all’opera e Il bazar delle follie.