Il premier Conte lotta per la difesa dei 750 milardi, la Merkel ‘aggiusta’ il piano Recovery Fund.
Angela Merkel e Charles Michel hanno impostato un nuovo accordo sul Recovery Fund. La novità più rilevante è l’introduzione del principio di affidare ai governi la possibilità di attivare l'”emergency brake”, che rende possibile trasferire dall’Ecofin ai leader la discussione dei piani di rilancio nazionale, questo sia nella fase di approvazione che nella successiva, di erogazione delle tranche: un mezzo di pressione politica molto forte in mano ai nordici. Tra le altre condizioni che non rendono felice Roma, il meccanismo che lega l’ultimo 30% delle risorse per i progetti alla verifica di una crescita del Pil ridotta. E che in caso contrario vedrebbe il denaro fermo a Bruxelles.
Giuseppe Conte si è trovato di fronte a lunghe ore di negoziato. Ha lottato per poter difendere quei 750 miliardi “è un problema simbolico, un segnale che non possiamo non dare, su questo non voglio cedere”. Fa capire che in caso contrario, sarebbe pronto a mettere il veto sui rebates. Sa che i “frugali” non sono in maggioranza, ma al tavolo pesano moltissimo. Conte è deluso soprattutto perché la Merkel li lascia fare, anche riguardo a condizioni sulla governance che fino a qualche ora prima Roma giudicava inaccettabili.
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Il muro nordico
L’avversario principale dei paesi del Sud resta ovviamente l’olandese Rutte, che si è scontrato prima con lo spagnolo Sanchez, poi con Conte. Secondo il premier, la richiesta di mantenere il potere di veto dei singoli Paesi è “incompatibile con i trattati e impraticabile sul piano politico”. Quello che davvero manca a Conte è la copertura tedesca, una condizione a cui non è possibile rinunciare per invertire gli equilibri in seno al summit. Basta pensare a come l’Italia abbia ridotto nelle ultime ore progressivamente le pretese sulla gestione dei Recovery: inizialmente ha chiesto la centralità della Commissione, poi ha accettato un ruolo di spicco del Consiglio ma ha contestato il meccanismo, e per concludere ha mollato anche sulla richiesta di prevedere una soglia del 65% della popolazione per bocciare i piani nazionali. Dopo una battaglia lunga, il premier ha preferito usare le sue forze per rimuovere almeno una condizione capestro pretesa dall’Olanda: il potere di veto di un singolo Paese.
Uno scenario che fino al vertice di lunedì scorso a Berlino, Roma nemmeno aveva preso in considerazione. “Una richiesta inaccettabile”, ha dichiarato Conte. “Significherebbe smontare il progetto e mortificare i nostri sforzi. Vi siete accorti – si è infuriato durante la riunione – di cosa è successo nel mondo negli ultimi quattro mesi?”. Rincara la dose Roberto Gualtieri, in tv da Roma: “Ci sono alcuni membri che vorrebbero che un singolo Paese possa bloccare la corretta erogazione delle tranche del Recovery. Questa è una linea rossa, non passerà mai l’unanimità sull’esborso di singole tranche”.
L’emergency brake
Una serie di bilaterali – seguiti da un vertice a quattro tra Merkel, Macron, von der Leyen e Michel – che ha provato a tracciare una bozza di compromesso attorno a un meccanismo che eviti appunto il potere di veto di una singola capitale, ma dia la possibilità ad un singolo membro dell’Unione di sollevare di fronte ai leader un caso specifico. Ecco allora la soluzione: la Commissione europea ha proposto il piano nazionale, l’Ecofin dei ministri dell’Economia ha approvato, ma se un Paese è ostile può chiedere di coinvolgere nella discussione i leader, trasmettendo il dossier al Consiglio europeo. Questo è il cosiddetto ‘emergency brake’. I capi di Stato e di governo non voterebbero sul singolo piano, ma la discussione avrebbe comunque un peso politico rilevante e rallenterebbe l’eventuale erogazione delle risorse.
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La riduzione delle risorse
Roma, deve inoltre lottare anche sull’entità delle risorse. La Finlandia vorrebbe ridurre a meno della metà l’erogazione a fondo perduto. Germania e Francia cercano di puntare almeno sul rispettare l’entità dei cinquecento milardi, ma si preparano a tagliare la dotazione complessiva di 750. Difficile in ogni modo che si scenda sotto i 560 miliardi previsti nel Next generation Eu, che è parte del Recovery. Conte chiede invece che si tenga il punto almeno sull’intera somma dei 500 miliardi di sussidi, ma i nordici aprono solo su salute e ricerca (20 miliardi). Il negoziato va avanti. Nessuno può scommettere sulla durata, né escludere una coda negoziale fino a domenica. Nessuno può assicurare neanche che un patto sigilli il summit. “Abbiamo meno del 50% di possibilità di successo”, ha dichiarato Rutte. Conte però ha fretta di chiudere. L’alternativa è esporsi al fuoco dei nemici interni, che a Roma non aspettano altro per sgambettarlo.