Raccolte oggi le dichiarazioni di Andrea Varriale, collega di Mario Cerciello Rega, nel corso dell’audizione nel processo a carico dei due americani accusati di omicidio. “Se avessimo avuto l’arma sarebbe andata anche peggio”.
Si è tenuta oggi l’audizione nel processo a carico dei due americani accusati dell’omicidio di Mario Cerciello Rega, avvenuto a Roma il 26 luglio dello scorso anno. A presenziare in aula è stato il collega di pattuglia della vittima, Andrea Varriale, che ha ricostruito la vicenda rispondendo anche alle domande dei difensori dei due imputati – Finnegan Elder, colui che ha accoltellato il carabiniere, e il californiano Gabriel Natale Hjorth.
Secondo quanto si apprende da Adnkronos, Andrea Varriale ha ricostruito in questa nuova udienza quanto avvenuto nelle fasi sia precedenti che successive alla violenta aggressione, includendo il conseguente trasporto in ospedale del collega in fin di vita. E non ha mancato di spendere nemmeno qualche parola per ricordare il suo collega di pattuglia, scomparso tragicamente quella notte.
Andrea Varriale, “con la pistola finiva anche peggio”
“Avere o non avere la pistola non avrebbe cambiato gli eventi. Forse se avessimo avuto l’arma sarebbe andata anche peggio”. Queste le parole di Andrea Varriale in aula. “Il tesserino e gli effetti personali di Cerciello li ho visti sul muretto esterno del pronto soccorso del Santo Spirito”, ha poi aggiunto il collega della vittima, mentre ricordava e ricostruiva la vicenda avvenuta quella notte.
Alle domande di uno dei difensori di Elder, nel corso delle battute del controesame, Varriale non ha però saputo spiegare perché non siano state trovate tracce di messaggi e chiamate sul suo telefono cellulare effettuate quel giorno del 26 luglio 2019. “Ci sono i messaggi del 25 e del 27 luglio. Quelli del 26 no” ha infatti spiegato in udienza l’avvocato Renato Borzone, difensore di Finnegan Elder.
“Ci sembrava una cosa da nulla, da ladri di polli”
“Quella notte non eravamo preoccupati. Ci sembrava una cosa da nulla, da ladri di polli”, ha spiegato in aula Andrea Varriale. “A Trastevere sono molte le fregature che vengono fatte a chi cerca droga. Quella ci sembrò una sóla e la pasticca trovata a piazza Mastai era palesemente tachipirina. Non mi sembrava una estorsione fatta da veri criminale, ci sembrava una cosa da poco”, ha poi aggiunto il collega di pattuglia di Cerciello.
Mentre nel ricordare la vittima di quella brutale aggressione, queste sono state le parole del carabiniere interrogato in udienza: “Mario Cerciello Rega era sempre in prima linea. Era il nostro maestro, era il più esperto. Alcune delle nostre indagini sono partite proprio da sue intuizioni, era il più esperto di tutti. Mario non era assolutamente un violento e io ho imparato tantissimo da lui. Il nostro approccio in questi interventi è stato sempre pacifico”.
E ancora: “Mario mi diceva sempre ‘la tranquillità va anche comprata, vuoi mangiare, vuoi un pacchetto di sigarette?’, era un modo per ‘accattivarsi’ l’arrestato. Mario era amato e stimato nel nostro ambiente e anche dalla popolazione. Nei giorni della morte di Mario, migliaia di persone erano al funerale. Noi non facciamo sconti, ma la gente apprezza l’onestà”.
“Non sapevo che foto fosse uscita sui media. Non l’ho fatta io”
Andrea Varriale ha poi parlato anche della vicenda legata alla foto comparsa sui media di Natale Hjorth, mentre questi era tenuto ammanettato e bendato in una stanza della caserma di via in Selci. “Mentre uscivo ed entravo dagli uffici di via In Selci, ho visto Natale seduto su una sedia, ammanettato con le mani dietro la schiena e bendato. La bendatura del fermato mi ha sorpreso, non avevo mai visto un arrestato tenuto in quel modo. Mi è parsa molto strana”, ha spiegato il carabiniere.
“Ho iniziato a registrare il video di Natale Hjort bendato perché volevo associare la voce al volto e così gli ho fatto qualche domanda: ‘dov’era la felpa rossa o cose così’. Non ho avuto alcuna risposta ma mi ha detto cose senza senso, ‘che cambia, a che serve'”, ha poi proseguito Varriale. Aggiungendo: “Non l’ho diffuso a nessuno, è rimasto sul mio cellulare. Non sapevo assolutamente del fatto che era uscita sui media quella fotografia. Le indagini dell’Arma su questa sono iniziate subito”.
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Il carabiniere ha poi aggiunti di aver commesso “un errore stupido” in quella circostanza. “Il 28 luglio fui chiamato dal comandante di Compagnia di allora il Maggiore Aniello Schettino. Incontrai il colonnello Antonio Petti, l’allora comandante del gruppo Roma, in un colloquio informale con lui dissi che non avevo fatto io la fotografia”, ha infatti spiegato Varriale. E ha poi sottolineato: “Commisi un errore stupido, quello di dire che avevo la pistola con me e che l’avevo consegnata al mio comandante di stazione in ospedale. Ma tanto ormai a tanti colleghi già avevo detto che non l’avevo, quindi mi stavo nascondendo dietro a un dito. Ho commesso una leggerezza”.