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Cronaca

Bangladesh, storia di un Paese in fiamme tra Covid-19 e povertà

In Bangladesh la povertà ha creato terreno fertile per la diffusione del virus. I cittadini preferirscono morire di Covid piuttosto che di fame.

A Rohingya refugee man stands before Kutupalong camp in Ukhia near Cox’s Bazar on August 13, 2018. – Nearly 700,000 Rohingya fled Myanmar’s Rakhine state last year to escape a violent military crackdown.

Quando qualche mese fa i contagi in Italia hanno cominciato a moltiplicarsi, molti originari del Bangladesh hanno preferito tornare nel proprio paese, nella speranza di proteggersi dal virus. Ora la situazione si è ribaltata: nello stato che le Nazioni Unite classificano come uno dei meno sviluppati al mondo, il Covid dilaga senza freni. Così sono molti i bangladesi che tentano di imbarcarsi su un volo per Roma, cercando la salvezza da quel “far west” che è diventato il loro paese. Ma non è più possibile. Il Governo italiano ha recentemente varato un decreto che impedisce l’atterraggio a voli provenienti da Stati con alto indice di diffusione del virus. Questo per evitare i contagi di ritorno. E allora si resta in Bangladesh, tra povertà e malattia. E si spera di sopravvivere.

La testimonianza di Rafiqui Islam Azad

Rafiqui Islam Azad, un giornalista del noto giornale bangladese The independent e presidente del Dakha Report Unity, delinea un profilo del dramma che sia vivendo il suo Paese. “Ogni giorno si contano da 30 a 50 decessi, nelle ultime 24 ore si sono infettate almeno 153 persone e sono stati effettuati 13.453 tamponi” – racconta il cronachista.

I primi passi della pandemia in Bangladesh risalgono all’8 marzo, quando tre persone rientrate dall’Italia sono risultate positive. Il 15 marzo le autorità di Dacca, la capitale, hanno messo in isolamento 142 cittadini scesi da un volo dal nostro Paese. Il 18 marzo si è registrato il primo decesso. Il resto della storia la ricostruisce Azad: “Da allora i morti per Covid 19 in Bangladesh sono stati 2.424, il totale degli infetti, invece, è di 190.059 persone, mentre i tamponi eseguiti in 79 laboratori di tutto il Paese finora sono stati 953.400 su 168.957.745 abitanti”.

Dunque i contagi crescono in Bangladesh, e la paura dilaga. Il Governo arranca tra provvedimenti inutili e difficoltà di gestione, i cittadini non sanno come comportarsi e non rispettano le regole di distanziamento sociale. “Dicono che è meglio morire di Covid che si fame” – racconta Azad. La povertà ha catalizzato la pandemia, le ha dato un terreno fertile dove crescere e, purtroppo, mietere vittime. In queste condizioni non c’è da stupirsi che molti bangladesi vogliano disperatamente raggiungere l’Italia. Secondo Inside Over le persone che vorrebbero rientrare nel nostro paese dal Bangladesh sono circa 10-15 mila. Azad afferma che la maggior parte di questi è tornata in Bangladesh per fare visita ai propri parenti e ora si trova bloccata a causa delle restrizioni suoi voli imposte dall’Italia.

Le certificazioni false

Ma come mai questa enorme sfiducia verso il Bangladesh? La risposta va cercata all’inizio della pandemia, quando molti bangladesi sono sbarcati in Italia e risultati positivi. Azad racconta che in Bangladesh sono stati rilasciati molti certificati di negatività al virus fasulli. I cittadini si sono dunque imbarcati mostrando questi attestati contraffatti, per poi risultare positivi ai controlli italiani. “E’ stata una vicenda che ha imbarazzato oltremodo le autorità” – commenta Azad. Ora il governo della premier Sheikh Hasina cerca di recuperare in credibilità ed efficienza con arresti e blitz. Grazie a questo colpo di frusta dell’Esecutivo è stato arrestato il proprietario del Regent Hospital di Dacca, Shared, con l’accusa di aver contraffatto certificati Covid. Oltre a lui sono finiti in manette diversi funzionari della stessa clinica.

“L’esecutivo ha chiuso due alle dell’ospedale e dall’inizio di questa settimana, all’interno degli edifici pubblici o negli aeroporti, le uniche certificazioni accettate sono quelle emesse dalle autorità governative e non dai laboratori privati” – afferma Azad. Nel frattempo però molti bangladesi hanno raggiunto l’Italia con certificazioni false. Alcune stime affermano che potrebbero esserci circa un migliaio di infetti provenienti dal Bangladesh nel nostro paese.

Il traffico di uomini

Come se tutta questa confusione non bastasse, arrivano anche i trafficanti di uomini a complicare ancora di più un quadro già molto drammatico. “Per aggirare le restrizioni qualcuno sta cercando di arrivare in Europa da altri Paesi, come il Qatar, ma nel frattempo il flusso di migranti illegali non si è mai fermato, neppure con la pandemia – spega Azad – e i trafficanti sono attivi nel portare i lavoratori bengalesi all’estero nonostante lo stop dei voli”. In Bangladesh dunque la tratta di esseri umani è una terribile professione che non accenna a fermarsi. L’ultimo arresto in quest’ambito risale al 28 maggio e porta il nome dell’avvocato e deputato bangladese Mohammad Shahid Islam. Islam è stato catturato in Kwait dopo il ritrovamento dei corpi di 30 migranti, 26 dei quali bangladini, uccisi dai soldati libici.

Il dramma del Coronavirus in Bangladesh ha tante sfumature e tanti fronti: dalla disorganizzazione del Governo, alla povertà, al traffico di esseri umani. Questo paese arretrato alza il suo lamento straziato sperando che qualcuno, in occidente, lo ascolti. Ma l’Europa è occupata a leccarsi le ferite lasciate dal Covid, non ha tempo e risorse per occuparsi di altro. Così in Bangladesh si continua a soffrire, ad ammalarsi, a morire.

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